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Bartolina Sisa. La Bolivia di ieri e di oggi

Aggiornamento: 28 ott 2020

Come scrisse Sarah Ban Breathnach, Il passato non è solo ciò che è successo ma anche ciò che avrebbe potuto succedere ma non è avvenuto. In effetti qualcosa nella storia non è avvenuto e viene da chiedersi se eroi come la boliviana Bartolina Sisa siano morti invano oppure no, poiché ingiustizie e soprusi continuano inesorabilmente a riproporsi nel tempo.


Bartolina Sisa, icona rivoluzionaria Bartolina, di etnia aymara, nasce il 24 agosto intorno al 1750, in un paese delle andine boliviane (al tempo, Alto Perù). Cresce in un momento difficile che conosce l’oppressione violenta e sanguinosa dei coloni spagnoli. Per vivere commercia in foglie di coca. Il lavoro, che le permette di spostarsi di villaggio in villaggio, le consente di prendere coscienza della sopraffazione di cui è vittima il suo popolo, e sfruttamento, miseria, squallore e soprusi saranno il volano delle sue idee libertarie. All’età di 25 anni sposa Julian Apaza Nina, panettiere, anch’egli aymara, che prenderà in seguito il nome di Tupac Katari e che le darà 4 figli. Insieme a lui e alla cognata, Bartolina dà vita all’insurrezione che l’ha immortalata nella storia come la mujer (lett. donna) simbolo della cultura indigena. Tutto ha inizio nel 1780. Tutto finisce nel 1782 con la sua morte. O forse no, perché in Bolivia, oggi, i principi che mossero la Sisa sono sentiti più che mai.


Ma facciamo un passo indietro. Già prima del 1780, la situazione tra gli indios e i coloni è tesa. Vari rappresentanti comunitari (tra i quali il noto Tupac Amaru II) chiedono alla corona spagnola un miglioramento delle condizioni degli indios, la riduzione delle tasse coloniali, lo svincolo dall’acquisto di merci spagnole e l’abolizione della mita (un tributo dovuto sotto forma di lavoro). Seguono una serie di rivolte tanto sanguinose quanto inutili.


Nel 1780 Tupac Katari, la moglie e la sorella, danno il via a una ribellione che si estende a tutto l’altopiano. Molte donne vi prendono parte: la condizione femminile del tempo, fatta di violenze e soprusi, è estremamente drammatica. Nel 1781 gli indios, con un esercito di 40.000 unità, assediano la città di La Paz, intorno alla quale l’esercito spagnolo costruisce una muraglia. Bartolina è parte attiva del conflitto: addestra la gente, controlla gli approvvigionamenti dei viveri, parla con i soldati e assume il comando della battaglia al posto del marito quando questi si assenta. Ma il 2 luglio del 1781 viene catturata ed è costretta a una lunga e dura detenzione. A settembre, per sedare la rivolta, gli spagnoli offrono un’amnistia ai ribelli che scelgono la resa, parte dei quali accetta e consegna le armi. Tupac, tradito da uno dei suoi luogotenenti, viene catturato a novembre, torturato, legato agli arti di quattro cavalli e ucciso per smembramento. La leggenda vuole che le sue ultime parole siano: volverè y serè millones («torneremo e saremo milioni»). La vita di Bartolina, invece, ha fine il 5 settembre 1782. Dopo essere condotta nuda in Plaza Colonial (l’allora piazza principale di La Paz), torturata e violentata, la sua testa viene esposta al pubblico e il corpo fatto a pezzi, inviati a scopo intimidatorio in diversi villaggi.


In onore alla Sisa, il 5 settembre si celebra la Giornata Internazionale della Donna indigena, in ricordo di tutte le donne indigene, non soltanto boliviane, che hanno combattuto per la libertà. Donne ancora oggi minacciate, zittite e assassinate perché in prima linea contro i disboscamenti, gli incendi, le estrazioni minerarie e la schiavitù del loro popolo.

La Bolivia oggi La Bolivia ha una superficie pari a tre volte e mezzo quella dell’Italia, ma una popolazione di appena 10 milioni di abitanti. Un paesaggio arido a ovest, umido a sud, ricco di pianure a Nord-Est, occupato per il 40% dalla Foresta amazzonica. Malgrado sia un paese ricco di risorse minerarie (rame, argento, litio, gas naturali), rimane il più povero del Sud America. La frangia disagiata è costituita dagli indios (prevalentemente di etnia Aymara e Quechua) che rappresentano circa il 50% della popolazione e da parte dei mestizo (boliviani di etnia mista), mentre quella ricca dai bianchi europei che arrivarono con la dominazione spagnola, che compongono circa il 12% della popolazione totale. Questi ultimi, appoggiati dagli Stati Uniti, dominano il paese dagli anni ’60 agli anni ’80. Nei venti successivi reggono la scena politica partiti di centro e di destra, i quali privatizzano aziende e servizi, concessioni agricole e minerarie. Il 2000 è l’anno che vede le prime mobilitazioni di massa. A questo punto entra in scena Evo Morales, di etnia aymara, sindacalista dei cocaleros (i coltivatori di piante di coca), deputato dal 1997, fondatore del MAS, il Movimento per il Socialismo, che unisce indigeni e parte dei mestizo. Morales si candida e nel 2005 vince le elezioni. Nazionalizza i proventi derivanti da idrocarburi, litio e minerali, compie importanti investimenti infrastrutturali, abbatte la povertà assoluta del paese dal 37 al 17 per cento, crea sussidi per anziani, donne incinte e ragazzi che vogliono studiare. L’analfabetismo scompare, la mortalità infantile si dimezza e il paese ha una crescita media annua tra le più alte dell’America Latina.


Nell'immagine la foresta amazzonica boliviana in fiamme


Di contro, disbosca ampi tratti di foresta amazzonica per far spazio a colture e allevamenti, e osteggia pesantemente stampa e opposizione. Questo gli costa una perdita di consensi tra ecologisti, alcune comunità indigene, classi medie urbane, fazioni contadine e coltivatori di coca, colpiti da leggi restrittive. L’ostilità della popolazione bianca non manca sin dall’inizio e si radicalizza nel tempo. Quando si ostina a rimanere al potere e a ricandidarsi per la quarta volta, malgrado la Costituzione consenta solo tre mandati, Morales indice un referendum per modificarla e viene sconfitto. Si rivolge così al Tribunale Supremo, grazie al quale si può ricandidare una quarta volta. Anche se i consensi nei suoi confronti perdono forza, al voto ottiene la maggioranza relativa ma viene accusato di brogli dall’opposizione – appoggiata dall’Organizzazione degli Stati americani e dalle cancellerie europee. L’esercito gli chiede di lasciare il potere. Abbandonato il paese, il 12 novembre 2019 la vicepresidente del Senato Jeanine Anez, esponente dell’estrema destra, si autoproclama presidente con l’appoggio dei militari. Da questo momento, come se il tempo avesse fatto un balzo indietro di qualche secolo, iniziano a prendere piede teorie sulla supremazia bianca e squadroni mascherati si lanciano in raid puntivi attaccando i contadini indigeni e danneggiando le abitazioni dei loro leader politici.


Con l’avvento del Covid, la Bolivia ha un tasso di letalità più elevato rispetto alla media mondiale. Approfittando dell’emergenza sanitaria, la Anez rimanda le elezioni per ben tre volte. Nel frattempo perseguita i candidati del MAS e impedisce ai boliviani all’estero di votare – che storicamente sono da sempre in favore del Movimento.


Intanto, nell’altra America, gli Stati Uniti affilano gli artigli: la Bolivia è ricca di risorse naturali e, in particolar modo, di litio – elemento impiegato nell’industria ceramica, militare, necessario per la fabbricazione cellulari e auto elettriche. Le multinazionali fremono per l’apertura allo sfruttamento delle risorse. Non a caso la presa di potere della Anez viene definita il Golpe del litio.


Con l’uscita di scena di Morales sembra concludersi un’epoca, quella della sinistra latinoamericana. Ma, come si dice, niente è come sembra. Alle elezioni di una settimana fa, concorrono tre candidati: Luis Arce (MAS, ex ministro dell’Economia), Carlos Mesa (moderato) e Luis Camacho (estrema destra) – in favore del quale Jeanine Anez si ritira per non disperdere i voti. A sorpresa vince il candidato del MAS. Dunque, salvo nuovi colpi di scena, la sovranità popolare ha avuto la meglio sugli interessi economici e sul colore della pelle. Come qualcuno vocifera, il Golpe made in Usa è fallito.


Sitografia


https://histoireparlesfemmes.com/2018/03/29/bartolina-sisa-combattante-rebelle/






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