Atomo, t’amo o non t’amo?
Aggiornamento: 26 ott 2020
Cambiamenti climatici: qualcuno vocifera che l’energia nucleare sia la soluzione. Sarà vero?
A luglio scorso, mentre il Kenya conferiva mandato a un’azienda cinese per identificare un luogo in cui costruire la prima centrale nucleare del paese, il gestore della rete elettrica francese EDF spegneva 5 reattori a causa di un’ondata anomala di calore. Le ondate di calore, insieme alla siccità, due condizioni che si riproporranno sempre più spesso in futuro, non sono l’optimum per i reattori nucleari, almeno non per quelli costruiti con l’attuale tecnologia.
Nell’estate del 2018, uno spegnimento per le medesime ragioni fu effettuato anche da Germania, Svezia, Svizzera e Finlandia. E se andiamo a ritroso nel tempo, ritroviamo riscontro dello stesso problema nel 2015, nel 2006 e nel 2003.
A luglio di quest’anno, l’ACRO, l’Associazione francese per il controllo della radioattività, denunciava aumentati livelli di un isotopo radioattivo (il trizio) nell’acqua potabile utilizzata da 6,4 milioni persone. Sebbene i valori fossero al di sotto della soglia d’allarme, la preoccupazione si diffondeva tra la popolazione, memore dei precedenti occorsi – nel 2006 Greenpeace rendeva nota una forte contaminazione da trizio nelle falde acquifere della Normandia, di tenore minore i livelli riscontrati nel 2010 nell’Ile de France e nel 2013 in Provenza.
A febbraio 2019, si manifestava l’ennesimo guasto alla centrale nucleare di Zaporizhia, in Ucraina. A gennaio 2018 si chiudeva uno dei 7 reattori del Belgio poiché l’impianto non risultava più a norma, e le autorità della vicina città tedesca di Aquisgrana distribuivano pastiglie di iodio alla popolazione. Un anno prima, invece, nel settembre del 2017, una misteriosa nube radioattiva sorvolava l’Europa: il più grande rilascio di materiale dopo il disastro di Fukushima, di cui nessun paese rivendicò la paternità – a quanto pare, secondo l’Istituto di radioprotezione e sicurezza nucleare (IRSN), da attribuire alla Russia, verosimilmente a un impianto di trattamento di rifiuti nucleari.
Ma nessuno di questi “inconvenienti”, se vogliamo chiamarli così, che sono solo una parte di quelli occorsi (e resi pubblici), può essere paragonato agli incidenti di Chernobyl o Fukushima, oppure al meno noto di Three Mile Island.
Chernobyl Il 26 aprile 1986 esplose un reattore nella centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, rilasciando una quantità enorme di materiale radioattivo che investì vari paesi europei. L’incidente fu causato dalla violazione delle norme di sicurezza durante un test. Nei mesi successivi si lavorò per costruire un “sarcofago” al fine di prevenire una ulteriore dispersione dei contaminanti. Quella copertura, che nel corso del tempo ha mostrato delle falle, è stata a sua volta ricoperta, ma ora dovrà essere rimossa e non si sa ancora che fine farà il materiale radioattivo che contiene. Si stima che le radiazioni dell’incidente di Chernobyl abbiano causato migliaia di casi di cancro. Quanti esattamente non è dato saperlo, poiché il picco dei tumori ascrivibili a un’esposizione di questo genere può verificarsi anche dopo 20 anni o più. Al tempo, gli abitanti dell’area furono informati con due giorni di ritardo, durante i quali continuarono a bere e mangiare cibi contaminati e ad esporsi all’aria. Le autorità russe – nel 1986 l’Ucraina non era ancora indipendente dalla Russia – ammisero l’incidente solo 48 ore dopo.
Fukushima L’11 marzo 2011 uno tsunami investì la centrale nucleare di Fukushima, in Giappone, causando la morte di circa 16mila persone (più 2.500 dispersi). Ci furono vittime anche per il disastro nucleare che ne conseguì – i cui numeri sono controversi, fermo restando il riscontro di un aumento anomalo di tumori alla tiroide tra bambini e adolescenti, e una previsione di 5mila casi futuri. Secondo uno studio di Greenpeace, ancora oggi i livelli delle radiazioni della zona eccedono da cinque a oltre cento volte il limite massimo raccomandato e resteranno tali per molti decenni a venire. Il Sol Levante annovera un’ampia rosa di incidenti nucleari. Quello di Fukushima fu dovuto alla negligenza della Tokyo Electric Power (la compagnia che gestiva la centrale) che non mise in atto le misure necessarie per gestire un fenomeno, lo tsunami, che poteva essere previsto, nonché a una mancanza del governo giapponese che non obbligò la compagnia a farlo. Entrambi furono condannati dalla corte di Fukushima a risarcire i danni ai cittadini.
Three Mile Island Il 28 marzo 1979 avvenne il più grave incidente nucleare degli Stati Uniti a causa di un malfunzionamento di un reattore, seguito da un errore umano. A scopo cautelativo venne evacuata la popolazione sensibile (donne in gravidanza e bambini) ma, secondo la versione ufficiale del governo dell’allora presidente Carter, non ci furono danni alle persone. Versione ripetutamente contestata dagli studiosi del settore, che evidenziarono decine di migliaia di morti indirette dovute a cancro, per il rilascio in atmosfera di sostanze tossiche.
Comparto nucleare militare Gli incidenti menzionati sino ad ora attengono al comparto del cosiddetto nucleare civile. Ma anche quello militare ha mietuto le sue vittime. Senza considerare le bombe impiegate durante la seconda guerra mondiale, i test di sperimentazione – inaugurati dagli Stati Uniti nel 1945 – hanno avuto terribili conseguenze per la popolazione civile e l’ambiente. Dal dopoguerra a oggi sono state effettuate più di 2mila esplosioni, in parte tenute segrete, da parte di potenze dotate di armi atomiche.
I test nucleari ebbero un picco nei primi anni ’60, quando la guerra fredda raggiunse il suo apice. Con la distensione dei rapporti USA-URSS ci fu una significativa diminuzione delle sperimentazioni. Nel 1996, 183 paesi sottoscrissero Il Trattato sulla messa al bando totale dei test nucleari, sebbene alcuni Stati non abbiano ancora provveduto a ratificarlo (Cina, Egitto, Iran, Stati Uniti, Israele) ed altri non lo abbiano mai nemmeno firmato (tra questi, India, Pakistan e Corea del Nord). Gli ultimi esperimenti nucleari furono condotti nel 1996 da Francia e Cina, nel 1998 da India e Pakistan e nel 2017 (poco più di due anni fa) dalla Corea del Nord.
Si calcola che questi test abbiano causato in tutto il Pianeta un milione e mezzo di morti tra i bambini e due milioni di morti per cancro alle ossa, alla tiroide e per leucemia. Anche piccoli incrementi nelle radiazioni elettromagnetiche possono causare problemi di salute come cataratte e leucemie, possono alterare la chimica del cervello, il livello dello zucchero nel sangue, la pressione sanguigna e la velocità cardiaca. (cit. “Pianeta terra”, Rosalie Bertell)
Gli impianti nucleari civili L’energia nucleare (o atomica) è l’energia liberata durante la trasformazione dell’atomo. Possiamo classificare gli impianti nucleari suddividendoli in quattro generazioni. Alla prima appartengono i primi prototipi costruiti tra gli anni ’40 e ’50. Alla seconda appartengono la maggior parte di quelli in funzione oggi, costruiti a partire dagli anni ’70 e ’80. Dopo gli incidenti di Three Mile Island e Chernobyl, si iniziò a progettare centrali a sicurezza intrinseca (generazione III), introducendo una semplificazione impiantistica in grado di abbassare la probabilità dei guasti. I reattori di questa generazione non ebbero grande diffusione, tanto che nel 1999 gli Stati Uniti diedero il via al programma Generation IV, al quale nel 2001 aderirono Argentina, Brasile, Canada, Francia, Giappone, Sudafrica, Corea del Sud e Gran Bretagna, seguiti qualche anno dopo da Svizzera, Cina, Russia, Australia e Euratom (Comunità europea dell’energia atomica).
Le tecnologie che sfruttano l’energia atomica sono due: la fissione (attualmente utilizzata) e la fusione (ancora in fase sperimentale). Durante la fissione vengono prodotte scorie nucleari, ovvero rifiuti indistruttibili, almeno secondo la conoscenza scientifica attuale, che, data la loro pericolosità, devono essere stoccati in sicurezza in appositi depositi di superficie o sotterranei. Pare che la fusione nucleare, attualmente oggetto di studio, sia in grado di ridurre la produzione di radioattività, ma la strada è ancora lunga.
Pro e contro dell’energia nucleare L’energia atomica non produce gas serra, dunque è a bassissimo impatto ambientale. Inoltre la quantità che se ne ricava da un nucleo atomico è molto superiore a quella ottenibile da qualunque altra reazione chimica. È verosimile pensare che il nucleare sia in grado di ridurre la dipendenza energetica del paese che ne adotti l’utilizzo, svincolandolo, in buona parte, dall’import di petrolio, gas e carbone. E considerato che il fabbisogno energetico è in costante fase di crescita, non è cosa da poco. Di contro, le centrali nucleari possono avere malfunzionamenti e dare origine a terribili incidenti, i cui effetti nefasti, su vasta scala, si perpetrano per lunghissimo tempo. Inoltre implicano costi sociali molto elevati – un impegno finanziario così ingente da incidere sulla politica economica di uno Stato – che sommano la costruzione dell’impianto, la messa in sicurezza, il suo smantellamento a fine ciclo vitale, a costi militari non indifferenti per la prevenzione di atti terroristici. Spese che andrebbero a inanellare un inevitabile aumento di imposte e tasse a carico dei cittadini – in generale i capitali privati tendono a tenersi lontano da investimenti di questo tipo. Infine le scorie radioattive, o meglio il loro stoccaggio, costituiscono un nodo cruciale: poiché la radioattività permane per migliaia di anni, queste devono essere stipate in siti geologicamente stabili, protetti da strutture schermanti.
Bill Gates ritiene che il nucleare sia l’unica risposta al riscaldamento globale. Il co-fondatore di Microsoft ha infatti finanziato una startup, TerraPower, per la progettazione e la ricerca di nuovi reattori, sostenendo che gli incidenti possano essere evitati attraverso l’innovazione degli impianti. Ma c’è chi non la pensa come lui, caldeggiando invece le rinnovabili, più competitive a livello di costi e soprattutto prive di rischi catastrofici.
Il complesso nucleare militare viene costantemente rinnovato e lautamente finanziato (nuove testate, nuovi vettori, nuovi sommergibili, nuovi sistemi satellitari, ecc.). La tecnologia nucleare civile invece è vecchia, non vi è stata nessuna innovazione sostanziale (i cosiddetti reattori “di 4a generazione”, innovativi non esistono e – se mai riusciranno a realizzarli – se ne parlerà verso la metà del secolo). La vocazione distruttiva dell’energia nucleare si riflette nel suo intrinseco dual-use, l’impossibilità di separare usi “civili” e militari. Tutti i paesi che hanno realizzato la bomba sono passati attraverso la costruzione di reattori nucleari. Angelo Baracca, fisico nucleare.
Secondo il Nobel Carlo Rubbia, le centrali nucleari, così come sono oggi, sono obsolete. C’è però una soluzione alternativa: impiegando il torio anziché l’uranio, si produrrebbero scorie con radioattività di soli 30 anni, si riuscirebbe a produrre più energia e si adotterebbe una tecnologia inutilizzabile al comparto militare. Nonostante questi vantaggi, soltanto Cina, Canada e India stanno prendendo in considerazione l’idea di Rubbia, che richiederà qualche decennio perché venga realizzata e che non ridurrà comunque il rischio di incidenti.
Il nucleare nel mondo Stati Uniti, Francia, Cina e Russia sono i paesi che hanno puntato maggiormente sull’energia nucleare. Il numero di reattori nel mondo si attesta intorno alle 448 unità, una minoranza delle quali non è attiva. Il nucleare fornisce circa l’11% dell’energia elettrica globale. Oggi l’impianto di nuovi reattori è concentrato in poche nazioni come Cina, India, Emirati Arabi e Russia, alcune delle quali hanno iniziato a esportare la loro tecnologia – e questo vale soprattutto per Mosca e Pechino.
L’Unione Europea spende circa 400 miliardi di euro all’anno per comprare più della metà dell’energia che consuma. Una parte di questa deriva dal nucleare.
La Francia, con i suoi 58 reattori, produce oltre tre quarti del proprio fabbisogno energetico, anche se Macron ha annunciato di volerne ridurre il numero – riduzione programmata anche dalla Germania, la cui produzione energetica interna si aggira intorno al 12%. Secondo i dati dalla World Nuclear Association, riferiti all’anno 2017, in Europa le produzioni di energia nucleare sono le seguenti: Belgio 50%, Finlandia 33%, Spagna 21%, Svezia 40%, Svizzera 33%, Gran Bretagna 19%, Paesi Bassi 3%, Armenia, Bulgaria e Repubblica Ceca intorno al 33%, Ungheria 50%, Romania 18%, Russia 18%, Slovacchia 54%, Slovenia 39%, Ucraina 55%. Il nostro paese è tra i maggiori importatori di energia elettrica, parte della quale proviene dal nucleare.
Conclusione L’energia nucleare è una forma di energia pulita – secondo uno studio dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica, carbone, petrolio, biocarburanti e gas naturale, in base a un calcolo sul numero di morti per miliardo di KWh di energia prodotta, mietono molte più vittime. Pur essendo un’opzione energetica come le altre, vanno considerati i cambiamenti climatici che precludono il pieno funzionamento degli impianti (almeno per ciò che attiene a quelli attuali) e quell’insieme di fattori, per nulla trascurabili, che costituiscono i “contro” sopra menzionati. Inoltre, data l’ingente movimentazione di denaro che deriva dalla gestione di tali impianti, compreso lo smaltimento delle scorie radioattive, andrebbe tenuto presente che non viviamo in un mondo di specchiata onestà. È ormai accertata l’esistenza di traffico nazionale e internazionale di scorie radioattive, e non è da escludere che questo avvenga con l’approvazione di soggetti istituzionali. Questo tipo di smaltimento, particolarmente redditizio, ha trovato riscontro nell’affondamento di rifiuti radioattivi al largo delle coste (anche italiane) e nei paesi del terzo mondo. Sono più di vent’anni che i pubblici ministeri di casa nostra indagano su affondamenti sospetti in acque profonde, ipotizzando che mafia e industriali italiani e stranieri abbiano agito di concerto. Secondo Legambiente, vari carichi di rifiuti europei sono stati inviati in Somalia, Kenya, Zaire e altri paesi in via di sviluppo, con il consenso dei politici di casa profumatamente pagati. Uno di questi Stati, il Kenya, dopo aver sposato eolico, fotovoltaico e idroelettrico fino a che piovevano i finanziamenti europei, ora, sollecitato (e foraggiato) dalla Cina, vuole impiantare una centrale nucleare. Certamente non si porrà troppi problemi in merito allo stoccaggio dei rifiuti radioattivi, dopo che li ha accettati di straforo dall’Europa. Molte perplessità sorgono anche per l’intenzione della Russia di vendere la tecnologia del suo “Titanic Nucleare” (una centrale atomica galleggiante piazzata nel mare artico) a paesi asiatici, africani e dell'America Latina, del tutto impreparati e con standard di sicurezza inadeguati.
Quanto all’Italia, non solo non riesce a gestire i rifiuti urbani della sua capitale, ma non è in grado nemmeno di stivare quelli generati dalle 4 centrali dismesse più di trent’anni fa – il nostro paese disse no all’uso dell’energia atomica con il referendum del 1987 e lo ribadì nel 2011 con i popolari abrogativi.
Oggi il Piemonte accoglie, suo malgrado, una quantità elevata di scorie. Nel Lazio la situazione è pressoché la medesima. Queste due regioni a parte, nel Bel Paese ci sono rifiuti radioattivi ovunque, decine di piccoli depositi di ogni tipo e forma. Dopo 30 anni non abbiamo ancora un Deposito Nazionale, come imporrebbe invece la normativa internazionale. Senza contare il fatto che Francia e Regno Unito ospitano provvisoriamente parte delle nostre scorie, almeno fino al 2025, anno in cui ce le rispediranno indietro. La società pubblica preposta allo smantellamento delle nostre centrali (il cosiddetto decommissioning) e allo smaltimento dei loro rifiuti, tale Sogin, ha già accumulato ritardi su ritardi. E intanto le scorie stanno là.
Forse l’atomo, di per sé, non è un cattivo ragazzo. Ma l’uomo?
[Articolo pubblicato da Mediterraneo e dintorni, n.17/2019]
Sitografia
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