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La tartaruga marina, una nuotatrice antichissima da proteggere

Le tartarughe marine sono rettili antichissimi che popolano mari e oceani da oltre 220 milioni di anni. Nel corso della loro evoluzione, come risulta dagli studi dei reperti fossili, non hanno subito cambiamenti morfologici di rilievo.

A oggi ne esistono sette specie, ciascuna delle quali differisce per caratteristiche fisiche, habitat e alimentazione.

Sfidando numerose insidie, questi animali maestosi coprono distanze di migliaia di chilometri nel Mediterraneo, in mari tropicali e subtropicali. Purtroppo, se fino a due secoli fa se ne contavano milioni, oggi il loro numero è in drastico calo.

Specie attualmente esistenti Caretta caretta (tartaruga comune), la più diffusa, è presente nel Mediterraneo e nei mari tropicali e subtropicali. Misura poco più di un metro di lunghezza e raggiunge un peso medio di 160 kg. Il carapace è di colore rossiccio-marrone. Si nutre di pesci, crostacei, molluschi e talvolta vegetali. Chelonia mydas (tartaruga verde) la si trova nel Mediterraneo, anche se è più frequente avvistarla nei mari tropicali e subtropicali. É erbivora, misura all’incirca un metro di lunghezza e ha un peso medio di 160-200 kg. Il carapace è di colore bruno. Dermochelys coriacea (tartaruga liuto) è la specie più grande, può arrivare a più due metri di lunghezza e a un peso di oltre 600 kg. Nel Mediterraneo se ne sono avvistati pochi esemplari poiché preferisce le acque degli oceani Atlantico, Pacifico e Indiano. Si nutre di meduse e occasionalmente di pesci e crostacei. Eretmochelys imbricata (tartaruga embricata) la si trova negli oceani tropicali. Misura mediamente intorno ai 90 cm e pesa circa 70-90 kg. Ha uno scudo convesso a forma di cuore e un becco appuntito che richiama quello dei rapaci. Il carapace è di colore bruno-giallastro. Si nutre di pesci e molluschi ma non disdegna alghe e spugne. Lepidochelys kempii (tartaruga di Kemp), presente nell’Oceano Atlantico e nel Golfo del Messico, è la specie più rara e più piccola. Con una lunghezza dai 60 ai 90 cm e un peso di circa 45 kg, presenta un corpo piatto e un becco corneo. Si nutre di molluschi, crostacei, meduse, alghe e ricci di mare. Lepidpchelys olivacea (tartaruga olivacea) popola le acque degli oceani Pacifico, Indiano e Atlantico. Il carapace è di colore verdastro, ha una lunghezza di 60-70 cm e un peso all’incirca di 50 kg. Si nutre di molluschi, crostacei, pesci e alghe. In cattività ha mostrato tendenza al cannibalismo. Natator depressus (tartaruga a dorso piatto) vive tra le acque dell’Australia del Nord e della Nuova Guinea. Misura intorno al metro in lunghezza, ha un peso medio di 70 kg ed è caratterizzata dal dorso appiattito di colore grigio-oliva. Si nutre di erbe marine, coralli morbidi, molluschi, pesci, gamberetti e meduse.

Una minaccia in agguato

A seconda della specie, le tartarughe marine hanno una vita media dai 25 agli 80 anni, seppur in qualche caso possano arrivare anche a un secolo di età; ogni 2-3 anni le femmine depongono dalle 50 alle 200 uova in buchi scavati nella sabbia, solitamente nei lidi in cui sono nate. Tornano “a casa” dopo aver percorso migliaia di chilometri in mare grazie a una sorta di bussola interna che sfrutta il campo magnetico della Terra. Un dettaglio sconosciuto ai più è che pur respirando attraverso i polmoni, questi animali possono assimilare ossigeno dall'acqua ingerita attraverso la cavità faringea, caratteristica che consente loro grandi apnee.

Una volta deposte le uova, le tartarughe ritornano in mare lasciando alla sabbia il ruolo di incubatrice. Tempo 45-70 giorni, nascono i piccoli. Un particolare curioso è che il sesso dei nascituri è determinato dalla temperatura: se è elevata (intorno ai 29-30°C) si sviluppano femmine, se è più temperata maschi. A patto che il nido non venga saccheggiato, i piccoli rompono il guscio e, dopo qualche giorno, si dirigono verso l'acqua. Un tragitto insidioso poiché spesso sono prede di granchi e uccelli. Una volta raggiunto il mare, poi, devono sopravvivere ai pesci predatori. In pratica si stima che solo un uovo su 1000 diventi un esemplare adulto.

Le minacce non cessano purtroppo con l’età adulta, a quelle naturali si aggiunge a questo punto l’intervento dell’uomo. Le tartarughe marine rischiano di morire soffocate da oli, gas di scarico, reti da pesca o sacchetti di plastica inghiottiti perché creduti meduse. Inoltre in vari luoghi del mondo, le uova e la carne di questi grandi rettili sono considerati prelibatezze, in Cina vengono impiegati da secoli in rimedi per la medicina

tradizionale, in Giappone e a Taiwan, invece, il carapace viene utilizzato per produrre gioielli e oggetti d’arte. Tutto ciò alimenta un bracconaggio mirato che costituisce un vero e proprio fardello. Va altresì considerato che l’inquinamento ambientale causa la distruzione di barriere coralline e praterie marine ovvero luoghi nei quali le tartarughe reperiscono cibo.

Il cambiamento climatico, inoltre, ha notevolmente assottigliato le spiagge destinate ad accogliere le loro uova, e l’aumento delle temperature ha sconvolto l’equilibrio tra i sessi. Infine c’è la minaccia della pesca, con il cosiddetto fenomeno del bycatch ovvero la cattura accidentale, che a volte si traduce in una condanna a morte. Solo nel Mediterraneo ogni anno circa 150mila esemplari finiscono catturati accidentalmente da reti e attrezzi diversi, numero che sale a 250mila negli USA.


Ciò premesso è evidente che questi animali siano sì coriacei e robusti, ma anche estremamente fragili. Sono sopravvissuti ai dinosauri (estinti 65milioni di anni fa), ma c’è da paventare che, senza azioni mirate di tutela e salvaguardia, soccomberanno alle attività antropiche.

Secondo la lista rossa della IUCN, l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, tre specie sono ad alto rischio estinzione (tartaruga verde, tartaruga embricata e tartaruga di Kemp) e altre 3 sono considerate vulnerabili (caretta caretta, tartaruga liuto e tartaruga olivacea), della tartaruga a dorso piatto non ci sono dati a disposizione.

Buone notizie! Nel mondo, oltre a leggi nazionali e internazionali, sono vari i progetti scientifici approntati per la salvaguardia delle tartarughe marine. Nel Mediterraneo, solo per citare un esempio, abbiamo il Life Medturtles, che impegna droni, app e trasmettitori satellitari e che vede coinvolti Albania, Italia, Spagna, Tunisia e Turchia. Finanziato con tre milioni di euro dall’UE, esteso fino al 2023, è coordinato da due docenti del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa.

Le associazioni e le iniziative non mancano anche e soprattutto nel nostro paese e pongono un rimedio alla minaccia antropica con buone percentuali di successo.

Un progetto interessante è quello del Kenya che, pur non disponendo di device tecnologici o stanziamenti di rilievo, opera con efficacia coinvolgendo le comunità locali.

L’approccio del Kenya Cinque delle sette specie di tartarughe marine si riproducono in Kenya. A Watamu, un paesino di 2000 abitanti poco distante dalla più nota Malindi, opera un ospedale specializzato nell’accoglienza di tartarughe ferite. Si tratta del Watamu Turtle Watch, fondato nel 1997 e ribattezzato Local Ocean Trust. Il programma del centro contempla altresì la sensibilizzazione nei confronti della popolazione locale, degli alunni delle scuole e dei pescatori – coinvolti per via dell’insidia delle reti a strascico, degli ami e delle eliche dei motori delle barche. A questi ultimi viene elargita una piccola somma compensativa quando, dopo aver catturato accidentalmente un esemplare, lo consegnano al centro. Ogni tartaruga salvata viene misurata, pesata ed etichettata e, se in buona salute, trasportata al Watamu Marine National Park dove viene rilasciata nell'oceano.

Nel 2012 è nato un altro progetto, questa volta sulla costa meridionale del paese, nella località di Diani. Il Diani Turtle Watch impiega persone addestrate (i cosiddetti Beach Monitor) deputate al controllo dei nidi e dei casi di spiaggiamento, la cui attività copre un’area costiera di circa 50 km. A Diani è stato inoltre approntato un interessante programma, il Marine Scout, incentrato sull’educazione ambientale extracurriculare dei bambini locali: si tratta di gruppi di bambini che hanno mostrato particolare interesse per la natura e che diventano ambasciatori dell'ambiente nelle loro comunità. Strategica iniziativa di sensibilizzazione, se si considera che il bracconaggio mirato qui è ancora praticato per ottenere carne, carapaci e olio – fonti di entrata in un contesto dove gli introiti sono piuttosto esigui.

Per sottolineare quanto è importante che la popolazione si assuma la responsabilità dell’ambiente in cui vive e lavori per preservalo, è stato creato un motto: Love Your Local Ocean (ama il tuo oceano). Dopotutto la costa keniota dipende in gran parte da pesca e turismo, sicché è importante che queste risorse siano gestite con consapevolezza e sostenibilità. Lavorando a stretto contatto con i pescatori, ogni anno vengono salvate centinaia di tartarughe, mentre responsabilizzando i locali si cerca di mantenere le spiagge pulite preservando nidi ed ecosistemi. Per quanto attiene all’industria turistica, questa offre proposte balneari nel rispetto dell’ambiente. Non a caso il Diani Turtle Watch ha sede presso il Marine Education Center - centro situato all’interno di un resort (magnifico, se posso permettermi una divagazione, affacciato su una spiaggia da sogno e circondato dal bush africano).

Dunque gli strumenti chiave per la salvaguardia delle tartarughe marine in Kenya sono l’informazione, la consapevolezza, lo sviluppo di capacità e la comunicazione. Un programma a bassa tecnologia e di basso profilo che funziona e che ha dimostrato quanto sia rilevante la collaborazione delle comunità locali.


Una strategia peraltro adottata anche dal nostro paese con il Clean Sea Life (un progetto terminato a gennaio di quest’anno) che, seppur finalizzato al recupero dei rifiuti marini e con un budget più corposo, ha coinvolto 170mila adulti e bambini, infondendo consapevolezza e amore per il mare.


[Articolo pubblicato da Cetri-tires/Educational]

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