top of page

La condizione della donna al tempo del burkini

Aggiornamento: 26 ott 2020

In Svizzera, un paese altamente industrializzato, una delle democrazie dirette più antiche d'Europa, si è concesso il voto alle donne con notevole ritardo. Il suffragio universale ha atteso a lungo. Incredibilmente, in alcuni cantoni, addirittura fino agli anni Novanta. (Robert Krulwich, National Geographic)

Immagine tratta dal web

Se ancora si affronta il problema della condizione femminile nel mondo significa che non è ancora stata raggiunta la parità di genere. Il ruolo prestabilito per le donne in talune culture impedisce loro la libera scelta e in qualche caso le obbliga al silenzio e all'invisibilità.

Se nei Paesi occidentali i loro diritti sono legalmente riconosciuti, in altre parti del mondo la situazione è tutt’altro che rosea. In alcune aree di Cina e India, dove nascere donna è considerata una disgrazia, molte neonate vengono lasciate morire o, qualora possibile, “eliminate” per mezzo degli aborti selettivi. Nei paesi del terzo mondo la violenza sulle donne è spesso considerata una cosa normale. Anche la povertà è un fattore discriminante (si pensi, ad esempio, che nell’Asia sudorientale decine di migliaia di ragazzine vengono vendute dalle famiglie per essere avviate alla prostituzione). In alcune culture africane e musulmane viene ancora ampiamente praticata la mutilazione genitale femminile, con effetti devastanti sulla salute e sulla psiche di chi la subisce - l’UNICEF riporta che secondo i dati dell’OMS sono tra 100 e 140 milioni le bambine, ragazze e donne nel mondo che hanno subito una qualche forma di mutilazione genitale, e i flussi migratori stanno mostrando il fenomeno anche ai paesi occidentali (il Regno Unito vanta il triste primato a causa dell’elevata presenza di donne proveniente dall’Africa sub sahariana e dall’Egitto, in Italia sono 40.000 le donne infibulate censite). Altro fattore di disuguaglianza è quello derivante da motivi religiosi, presente soprattutto nei paesi di religione islamica. Last but not least, lo stupro, praticato e punito nei paesi occidentali ma non in altri (si pensi che in Pakistan le donne che denunciano di essere state violentate vengono incarcerate), oppure in quelli in cui è utilizzato come strumento bellico. Che sia punito in Occidente non impedisce tuttavia violenze e femminicidi – il Bundestag, la camera bassa del Parlamento tedesco, ha approvato il 7 luglio 2016 una nuova legge che amplia la definizione giuridica di quello che può costituire uno stupro, come conseguenza alle aggressioni sessuali avvenute a Colonia lo scorso Capodanno (secondo il sito del Post.it del 7 luglio 2016, dopo quella notte, la polizia ha ricevuto 1.527 denunce. Le donne che hanno subito aggressioni di tipo sessuale sono 626). Le molestie sessuali non mancano nemmeno nei campi profughi: secondo Amnesty International, le richiedenti asilo sono esposte a violenze da quando lasciano il loro paese fino a quando arrivano in Europa.


Eppure le donne, in molte realtà, costituiscono la vera anima della società malgrado la maggior parte di loro viva in condizioni difficili, sotto la cappa della discriminazione.

L’Africa sub-sahariana, ad esempio, è una delle regioni al mondo in cui lavorano di più ma a tale forza economica non corrisponde un effettivo potere sociale e politico, se non in rari casi. In alcuni di questi paesi qualcosa per ribaltare la situazione si sta facendo, l’affluenza sempre maggiore delle giovani africane ai corsi di formazione non è casuale, infatti, l’istruzione è vista come una delle esigenze più fortemente sentite anche se ancora difficile da soddisfare. L’emancipazione di queste donne è un percorso ancora molto in salita, ma qualche passo è stato mosso.


La donna è stata bloccata per secoli. Quando ha accesso alla cultura è come un'affamata. E il cibo è molto più utile a chi è affamato rispetto a chi è già saturo. (Rita Levi Montalcini)


Immagine tratta dal web


Per ciò che attiene alla posizione della donna nella società islamica, è complessa da definire. Il Corano viene interpretato in modo differente dai modernisti, dai tradizionalisti e dai fondamentalisti. Va da sé che non tutti i paesi islamici sono conformi alla stessa corrente di pensiero, dunque la condizione femminile varia pur restando come punto fermo il regime patriarcale e maschilista che la vuole sottomessa. Se in Tunisia le donne hanno ottenuto molti diritti grazie all’attivismo femminile, in Algeria sono relegate in condizione di totale inferiorità. In Egitto, a qualche anno della primavera araba, quello che sembrava l’avvio di una nuova stagione di apertura si è dimostrato l’inizio di una rapida involuzione delle libertà fondamentali per le donne. In Marocco la situazione è tutto sommato abbastanza “leggera”. In Afghanistan, invece, nonostante lo sbarco di Stati Uniti e altri quaranta paesi sotto la bandiera dei diritti delle donne, pochissimo è cambiato per loro visto che si ritrovano a vivere in un clima di violenza (violenza domestica, stupro, stupro di gruppo, matrimoni forzati, matrimoni precoci, vendita delle bambine); le donne Afghane che fanno parte del Parlamento e del Governo vengono controllate dai partiti fondamentalisti ai quali appartengono, le attiviste ci sono ma lavorano in situazioni di semi-clandestinità, tenendo un basso profilo (prima delle guerre e del regime islamista, gonne corte e capelli scoperti erano accettati, va da sé che l'attuale condizione femminile non viene dalla tradizione, bensì dall'imposizione). In Iran, le donne, sempre più scolarizzate, fanno sentire la loro voce e stanno combattendo contro una legge del 1979 che le obbliga a indossare l’hijab, pena l’arresto; per la femminista iraniana Maryam Namazie «la laicità è una rivendicazione e un desiderio della gran maggioranza del popolo iraniano sebbene il 70% dei giovani abbia vissuto tutta la propria vita solo sotto la legge islamica. Questo perché la laicità è una richiesta umana, non importa dove si sia nati o si viva. Ed è una richiesta che non è mai stata così urgente nella storia contemporanea, visto l’emergere dei movimenti religiosi in generale, e dell’Islam politico in particolare.» In Turchia, dal 2002, ovvero da quando l’Akp è salito al potere, le violenze sessuali contro le donne sono aumentate del 400%; indossare il turban è una questione politica, non più culturale. In Arabia Saudita, il corpo e il volto femminili devono essere nascosti, pena la punizione corporale; vige in ogni ambito sociale la segregazione tra i sessi e le donne devono avere un tutore che le guida nelle loro scelte; non possono guidare e da pochissimo tempo è consentito loro di votare alle elezioni amministrative; violenze domestiche non denunciate si consumano di frequente, non di rado vengono effettuate lapidazioni e frustate. La ribellione delle donne saudite è in rete, in questi giorni, con l'hashtag #StopEnslavingSaudiWomen (ovvero stop alla nostra schiavitù). Questo succede nella terra di Khadigia, la prima moglie di Maometto: una donna libera che teneva il viso scoperto e che guardava gli uomini dritto negli occhi, che non dipendeva economicamente da fratelli, zii o cugini, perché gestiva un’attività in proprio e aveva alle sue dipendenze tanti uomini – uno di questi, Maometto. Maometto amava le donne forti. Per lo scrittore ebreo polacco Marek Halter che ha pubblicato un volume dedicato alla figura di Khadigia, la sua storia è fondamentale per far cadere l’idea della donna musulmana, sottomessa al marito, chiusa sotto veli neri che ne coprono le forme e il volto. «Viene infatti da chiedersi che cosa direbbe oggi il profeta della segregazione, dell’umiliazione e del disprezzo a cui molte donne che professano l’Islam vengono sottoposte da «sedicenti dottori della legge che hanno letto il testo sacro senza quell’interpretazione, ijtihad, che permetterebbe di adeguarlo ai tempi che cambiano», sostiene il Professor Giulio Soravia (esperto di lingua e cultura araba).

Il Corano prescrive alle donne di non esibire troppo le loro parti belle. Le interpretazioni strumentali hanno fatto sì che queste parti belle includessero polpacci, avambracci, gomiti, bicipiti, orecchie e quant’altro. Da notare che le norme di Maometto diedero molta più libertà alle donne rispetto alle loro contemporanee europee. Ma i diritti del settimo secolo d.C. adesso non valgono più.


Veniamo alla tanto discussa questione del divieto a indossare il burkini posto in essere da alcuni Sindaci dei Comuni francesi la scorsa estate, bloccato in seguito dal Consiglio di Stato d’Oltralpe e criticato aspramente da Amnesty International e dall’Onu (della quale fanno parte, tra gli altri, anche Afghanistan, Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti… ovvero paesi in cui la donna deve essere abbondantemente velata). Questa una delle dichiarazioni ufficiali dell’Onu in seguito al divieto francese: la parità di genere non si ottiene regolamentando dall'alto ciò che le donne indossano. Il che mi trova pienamente concorde perché quella parità può essere solo il frutto di un percorso culturale e ideologico (che alcuni dei paesi membri delle Nazioni Unite si guardano bene dall’intraprendere), infatti non è un caso che in Occidente l'affermazione della parità tra uomo e donna abbia avuto come conseguenza il cambiamento dell'abbigliamento femminile da cui è scomparso ogni segno di subordinazione. I diritti umani delle donne e delle bambine sono parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani universali, sostiene l’Onu. Eppure le bambine e le donne di molti paesi che ne fanno parte continuano a vedersi negati questi diritti – uno tra questi, la libertà di scelta.

Ciò detto, non si spiega perché nelle città francesi fosse concesso a donne abbondantemente velate di aprire i loro portafogli rigonfi di euro in boutique, agenzie immobiliari, gallerie d’arte e gioiellerie, e a quelle sulla spiaggia fosse vietato indossare il burkini.


La questione del divieto, a mio avviso ridicola, poteva tuttavia ispirare riflessioni più ampie che invece non sono state fatte, prendendo spunto anche dalla dedica in mondo visione della campionessa olimpica di scherma a Rio, Ines Boubakri. La tunisina, nell’auspicare un miglioramento della condizione della donna, per le sue connazionali e per quelle di tutto il mondo arabo, ha lanciato un messaggio forte e chiaro.

Era forse opportuno domandarsi se il velo (sia uno scialle, un foulard, un burkini, …) costituisca davvero una “libera scelta che afferma l’autodeterminazione della donna musulmana”, come si è sbandierato sui social la scorsa estate. Perché quella “libera scelta” che si è data per scontata, a volte, non è espressione di cultura e tradizione ma è un dispositivo politico.

Fermo restando che ci sono donne musulmane che indossano il velo con piena consapevolezza, altre, e lo vediamo nei loro paesi d’origine, hanno dato vita a movimenti di liberazione per affrancarsi non soltanto da un capo di abbigliamento loro imposto ma anche da ciò che esso rappresenta.


La libertà è la possibilità di dubitare, la possibilità di sbagliare, la possibilità di cercare, di esperimentare, di dire no a una qualsiasi autorità, letteraria artistica filosofica religiosa sociale, e anche politica. (Ignazio Silone)






Sitografia


http://www.lettera43.it/cultura/le-donne-in-afghanistan-prima-dei-talebani_43675230654.htm


https://thebottomup.it/2016/01/04/afghanistan-diritti-umani-donne-talebani/


http://formiche.net/2016/01/17/hijab-e-potere-le-donne-nel-nuovo-iran/


http://it.ibtimes.com/arabia-saudita-condizione-delle-donne-lenta-evoluzione-1433003


http://www.huffingtonpost.it/salvatore-curreri/perche-vietare-il-burkini-in-italia-sarebbe-incostituzionale_b_11587970.html?utm_hp_ref=italy


http://www.lindro.it/essere-donna-in-africa/


http://www.lettera43.it/cultura/islam-le-donne-di-maometto-libere-e-intraprendenti_43675159151.htm


http://www.letturefantastiche.com/infibulazione.html


http://www.lettera43.it/esclusive/turchia-i-diritti-femminili-sempre-piu-a-rischio_43675254346.htm


http://www.ilpost.it/2016/07/07/legge-stupro-germania/


http://www.internazionale.it/notizie/natasha-bowler/2016/08/09/grecia-richiedenti-asilo-abusi-molestie


http://nena-news.it/egitto-una-donna-ne-vale-100-la-battaglia-per-i-diritti-femminili-sceglie-un-nuovo-linguaggio/


http://www.nationalgeographic.it/popoli-culture/storia/2016/09/02/news/voto_donne_svizzera-3212831/


http://www.repubblica.it/esteri/2016/09/12/news/arabia_saudita_stopenslavingsaudiwomen-147632240/

seguimi su facerbook
  • Facebook B&W

New!

bottom of page