top of page

Il pianeta violato

Aggiornamento: 26 ott 2020

Appartengo a una generazione che consegnerà a quella successiva un clima diverso da quello ricevuto dalla precedente. (Daniele Pernigotti, consulente ambientale, rappresentante del nostro paese in diversi tavoli tecnici internazionali legati al cambiamento climatico)


Immagine tratta dal web

«Il clima sta davvero cambiando?» Questa è una domanda che la comunità scientifica ha iniziato a porsi niente meno che una trentina d’anni fa. Sulla base delle evidenze, nel 1988, per il volere dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) e del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), è nato l’IPCC ovvero un organismo intergovernativo che incorpora il gotha mondiale di varie scienze – la glaciologia, l’oceanografia, la biologia, la fisica dell’atmosfera, l’ecologia, la climatologia, la geologia, ecc.

L’IPCC opera sulla base degli studi scientifici già pubblicati e dunque già verificati. Gli scienziati che ne fanno parte vi aderiscono volontariamente e non percepiscono alcun compenso per il loro apporto, il loro obbiettivo è quello di prevedere i possibili scenari futuri conseguenti al cambiamento climatico affinché i governi possano agire di conseguenza.

Insignito del Premio Nobel per la Pace nel 2007, l’IPCC è l’autorità scientifica internazionale più importante per ciò che attiene ai cambiamenti climatici – il suo operato non è però esente da critiche, alcuni detrattori hanno definito le sue conclusioni catastrofiste e azzardate, altri fanno parte dei cosidetti “negazionisti”.


Dati alla mano, per la maggior parte della comunità scientifica, che il clima stia cambiando è una certezza. Che l’uomo sia il principale responsabile di questo cambiamento pare essere opinione prevalente ma non unanime, oggetto di un dibattito che si protrae da anni, che scaturisce dalla partigianeria di una cerchia di scienziati che negano il contributo antropico.


Conseguenze e implicazioni del cambiamento climatico Se nel nostro paese gli eventi estremi conseguenti al cambiamento climatico sono preoccupanti, in alcune parti del pianeta sono a dir poco devastanti – solo per fare qualche esempio: nelle piccole isole del Pacifico, le terre sono destinate a scomparire a causa dell’innalzamento del livello dell’oceano di un centimetro ogni tre anni; in Australia, Stati Uniti sud occidentali e diverse aree dell’Africa si registra un aumento preoccupante della siccità; violente precipitazioni ed esondazioni si verificano in vaste zone dell’Asia; nel Canada nord occidentale il suolo ghiacciato sta cedendo.

Le variazioni climatiche interessano l’uomo, le specie vegetali e animali, gli agenti patogeni… Esse agiscono come fattori di rimodellamento delle condizioni di vita poiché tra clima e territorio c’è una stretta connessione.

Le specie viventi si stanno estinguendo a un tasso 1.000 volte superiore a quello naturale. Il saggio La sesta estinzione di Elisabeth Kolbert – Premio Pulitzer nel 2015 – ha evidenziato che ci troviamo di fronte alla più grande estinzione di massa dalla scomparsa dei dinosauri. Questa minaccia ha portato all’istituzione di zoo “congelati” nei quali viene conservato il DNA di specie già estinte o in via d’estinzione.

Ma qual è l’agente incriminato del cambiamento - o meglio, del riscaldamento - climatico? A detta di molti scienziati, in gran parte il CO2. Sono all’incirca 32 i miliardi di tonnellate di anidride carbonica che vengono immessi in atmosfera ogni anno dall’uomo. Negli ultimi 800 anni non avevano mai superato i 300 ppm (parti per milione), ora toccano i 400 ppm. Ciò ha comportato l’innalzamento della temperatura di 1°C (e non è poco, date le conseguenze) rispetto al periodo pre-industriale.

Dati questi numeri, occorrerebbe optare per un’economia globale a basso contenuto di carbonio, ma non sempre i paesi che basano la propria ricchezza sulle fonti fossili sono ben disposti in questo senso.

NOAA Greenhouse Gas Index annuo (AGGI)

Le origini e le cause del cambiamento climatico Secondo la maggior parte degli scienziati, il clima ha iniziato a cambiare dalla rivoluzione industriale, quando l’inquinamento è aumentato progressivamente e la tecnologia ha permesso di attuare cambiamenti radicali sui territori – la modifica del corso dei fiumi, l’apertura di canali artificiali, la creazione di reti di trasporto, la cannibalizzazione delle montagne a fini estrattivi e così via.

Il grande e indiscusso sviluppo attuato dall’uomo a suo beneficio (non soddisfatto tuttavia in modo equo) ha portato conseguenze nefaste per l’ambiente: 11 miliardi di rifiuti prodotti e 32 miliardi di tonnellate di CO2 emessi in atmosfera, ogni anno. La CO2 sarebbe responsabile da sola dei ¾ del cambiamento climatico. E se calcoliamo che la deforestazione ne ha causato un mancato assorbimento da parte delle piante, il bilancio non è dei migliori.

Va detto che negli ultimi due anni l’aumento delle emissioni di anidride carbonica dovute ai combustibili fossili e all’industria è rallentato. Secondo Earth System Science Data, il fenomeno dipende soprattutto dalla riduzione dell’uso del carbone in Cina (i cui dati però sono incerti), dal maggior uso di fonti rinnovabili e dalle difficoltà dell’industria petrolifera (Internazionale n. 1132, 11 dicembre 2015).


La terra ha una superficie calpestabile di 130 milioni di chilometri quadrati. Il 40% è destinato ad usi agricoli, il 30% è coperto di foreste - molte delle quali gestite dall’uomo a proprio uso e consumo-, il restante 30% è costituito da deserti, terreni inabitabili e città.

Da quel 40% dei terreni agricoli, dipende l’industria alimentare mondiale la quale genera una quantità di emissioni di gas serra superiore a quella prodotta da un qualsiasi altro paese del mondo, ad eccezione di Cina e Stati Uniti (dossier Oxfam presentato in occasione del Business and Climate Summit 2016 di Londra).

Il 70% dei terreni agricoli è usato per nutrire gli animali. L’allevamento di carne è responsabile del depauperamento delle risorse idriche e del 14,5% delle emissioni di gas a effetto serra. Pensate che per produrre un chilo di manzo servono 15.500 litri di acqua, per un chilo di maiale 4.900 litri, per un chilo di pollo 4.000 litri (per un chilo di mele servono 700 litri di acqua, 184 per un chilo di pomodori, e 131 per un chilo di carote). (Alberto Castagnola, economista specializzato su temi internazionali con forti attenzioni ambientaliste).


Negazionismo e politica Il 97% delle pubblicazioni scientifiche riconoscono che l’uomo è il principale responsabile del riscaldamento globale (cit. “Con l’acqua alla gola” di Daniele Pernigotti).

Ciò nonostante, alcuni esperti hanno sostenuto le tesi negazioniste. Alcune delle loro teorie, come quelle di un illustre fisico italiano - secondo il quale i fenomeni astronomici giustificherebbero almeno metà del riscaldamento del pianeta - sono state però smontate dall’IPCC.

Anche la politica non ha fatto una gran figura, ma la vicinanza tra politica e negazionismo non deve stupire – quasi sempre gli interessi delle lobby prescindono dal benessere del pianeta. Insomma è quasi inevitabile concludere che i danni prodotti all’ambiente siano il risultato della ragione economica che li ha originati.

Da anni, nel mondo vengono periodicamente istituiti dei tavoli internazionali per dibattere sul riscaldamento globale, con risultati più o meno soddisfacenti. In Italia, con un tempismo assolutamente imperfetto, Renzi restringe il campo dell’abbandono dei combustibili fossili al solo carbone e ne prevede l’attuazione nei prossimi 50-60 anni.


«I governi e le imprese che si ostinano a non intraprendere azioni sul cambiamento climatico dimostrano un comportamento da irresponsabili.» Achim Steiner, direttore esecutivo del United Nations Environment Programme UNEP (in carica fino a giugno 2015).


L’ultima conferenza, la COP21 di Parigi del dicembre scorso, si è conclusa a grandi linee in questo modo: è stato deciso un obbiettivo a lungo termine ovvero l’impegno a mantenere il riscaldamento al di sotto dei 2°C; dopo il 2050, le emissioni di origine antropica dovrebbero essere ridotte ad un livello assorbibile dalle foreste e dagli oceani.

Più di 180 Paesi hanno presentato i loro obiettivi per un primo ciclo a partire dal 2020, ma solo quelli sviluppati sono tenuti a ridurre drasticamente le emissioni in termini assoluti, le nazioni in via di sviluppo sono incoraggiate a farlo mano a mano che le loro capacità si evolvono nel tempo.

Non ci saranno penalità per i Paesi che mancheranno i loro obiettivi di emissione.

Per le piccole nazioni insulari minacciate dall’innalzamento del livello del mare, l’accordo comprende una sezione che riconosce “perdite e danni” associati alle catastrofi legate al clima – sezione alla quale gli Stati Uniti si sono opposti ottenendo l’inserimento di una nota nell’accordo che dichiara che la perdita e il danno non comportano responsabilità o l’indennizzo.

Soddisfacente? Dipende dai punti di vista. Stati Uniti e Cina si sono detti soddisfatti dei (non) risultati. D’altronde, insieme all’India e all’Unione Europea, producono il 75% dei gas serra globali.

E’ proprio mentre scrivo questo articolo che leggo sui giornali che Pechino, già flagellata da smog-record e tempeste di sabbia, sprofonda di undici centimetri all'anno a causa dell'eccessivo pompaggio di acqua dal sottosuolo che ha prosciugato le falde – mi sembra a dir poco grottesco che la Cina si sia dichiarata soddisfatta dei risultati della COP21, ma tant’è.

Secondo uno studio pubblicato su Nature nel gennaio 2015, per contenere l’innalzamento della temperatura del pianeta si dovrebbero lasciare sotto terra più dell’80% del carbone, il 50% del metano e 1/3 del petrolio. Fattibile? Difficilmente.


Non è finita qui Tra le sfide ambientali che dovremo affrontare, oltre al cambiamento climatico e alla perdita della biodiversità, ci sono lo sfruttamento e il depauperamento delle risorse idriche, l’acidificazione degli oceani (¼ della CO2 emessa in atmosfera va a finire in mare causando l’aumento della temperatura e della salinità delle acque) e l’inquinamento chimico (più di 100 milioni di tonnellate di fertilizzanti a base azotata vengono immessi nei terreni agricoli ogni anno, per non parlare degli scarti industriali e delle 8 tonnellate di plastica che finiscono in mare ogni anno).

A proposito di inquinamento chimico, un tema “caldo” di quest’ultimo periodo è quello del glifosato, un erbicida che entra nei cibi di quei paesi in cui sono permesse le colture geneticamente modificate (ogm). Sebbene in Europa non si possano coltivare ogm, l’80% della soia che consumiamo è d’importazione e quindi è ogm (Internazionale n. 1142, 26 febbraio 2016). La conclusione si trae da sola e rimanda ancora una volta alla scelte politiche, in questo caso, dell’Unione Europea.


«La stupidità umana è di per sé evidente, visto che tutti conosciamo il disastro al quale andiamo incontro, ma non facciamo niente per evitarlo. […] I livelli di inquinamento sono cresciuti ovunque e nelle grandi città l'80% della gente respira aria insalubre. […] Ad aggravare in modo irrimediabile la stupidità umana concorre l'avidità, l'altra grande responsabile delle scelte suicide degli ultimi decenni.» Stephen Hawking, astrofisico.


Conclusione Personalmente, le tesi negazioniste non mi entusiasmano. In base ai report che ho letto, pare che non troveranno un riscontro scientifico. Allo stato attuale dei fatti, optare per un’economy più green, meno impattante e più sostenibile, sembra sia l’unica soluzione possibile. L’impegno non dovrebbe essere assunto solo a livello internazionale e statale, ma anche individuale. Certo che se per i privati si tratterebbe di fare uno uso più oculato dell’energia, isolare termicamente gli edifici, orientarsi verso mezzi di trasporto a basse emissioni, per le aziende e i governi lo sforzo sarebbe maggiore. E sta proprio qui forse il nocciolo della questione.

Va anche detto che, dal momento che si è notata una certa pigrizia politica in merito alla tutela ambientale, i cittadini dispongono di strumenti validi per smuoverla (com’è accaduto in Gran Bretagna, dove la volontà della salvaguardia dell’ambiente di più di 11 milioni di persone, raggruppate in varie associazioni, ha inciso sulle politiche ambientali dell’ex Premier Gordon Brown, ad esempio).

Perché è necessario che si smuovano le coscienze dei singoli affinché esercitino pressioni sul mondo politico? Perché il cambiamento climatico riguarda tutti noi, europei, americani, africani, asiatici, polinesiani, neozelandesi, ... La natura è casa nostra, scrisse Gary Snyder. Ed è vero.

Forse è anche giunto il momento di mettere in discussione alcune delle nostri basi culturali, perché se siamo arrivati a questo punto, qualcosa di sbagliato nelle scelte delle strategie di sviluppo deve esserci stato (e deve esserci ancora).


«Non è l’uomo che deve battersi contro una natura ostile, ma è la natura indifesa che da generazioni è vittima dell’umanità.» Jacques-Yves Cousteau, oceanografo, scomparso nel 1997.


[Articolo pubblicato su Ambiente online]






Bibliografia


Pernigotti Daniele, Con l’acqua alla gola, Milano, Giunti Editore, 2015



Sitografia


http://www.aknews.it/il-dopo-cop-21-di-parigi/


http://www.agenziaefficienzaenergetica.it/news-1/riflessioni-sullaccordo-di-parigi-cop21


http://www.luiss.it/news/2015/12/16/i-cambiamenti-climatici-fra-responsabilita-e-prospettive


http://www.repubblica.it/esteri/2016/06/29/news/pechino_sprofonda_11_centimetri_l_anno-143049962/?ref=HREC1-17


http://www.greenreport.it/news/clima/oxfam-cambiamento-climatico-industria-alimentare-insostenibile-video/


seguimi su facerbook
  • Facebook B&W

New!

bottom of page