Il Kenya al tempo del Coronavirus
Aggiornamento: 17 feb 2021
Fine marzo 2020, le tre del pomeriggio. Ho ancora dei granelli di sabbia sulle gambe, quando, riluttante, faccio ingresso all’aeroporto di Mombasa. Il sole si staglia in un magnifico cielo azzurro, il vento scompiglia i ciuffi delle palme e l’odore di cherosene, tipico delle aree aeroportuali, invade l’aria. Ho acquistato il biglietto di rientro in Italia in fretta e furia, dopo aver saputo che tutti i voli da e per l’Europa sarebbero stati soppressi. Siamo in piena emergenza Coronavirus.
Kenya… dai grandi spazi aperti della savana ai grattacieli della capitale, dalle capanne di fango dell’entroterra agli splendidi tratti di costa lambiti dall’Oceano Indiano. Considerata l’economia principale dell’East Africa, seppur basata su un’agricoltura di sussistenza con scarsi livelli di tecnologia, malgrado deficit infrastrutturali, squilibri sociali ed economici e alti livelli di corruzione, il Kenya può considerarsi un paese tutto sommato stabile.
Grazie agli investitori e agli aiuti europei, ha saputo mettere a segno qualche colpo vincente – si pensi al Lake Turkana Wind Power, il parco eolico più grande d’Africa, che porrà fine in buona parte all’importazione di petrolio dal quale il paese dipende. E dove sono mancate le capacità gestionali dei dirigenti – le occasioni non si contano –, il governo ha lasciato ampio spazio alla Cina. Negli ultimi anni Pechino si è imposta nelle gare di appalto, ha esportato merci a basso costo, stringendo alleanze politiche e ottenendo in cambio materie prime. Un alleato-predatore che piace ai piani alti, e non soltanto a quelli kenioti.
Pechino ha prestato circa 143 miliardi di dollari a ben 56 nazioni del continente, il quale è collegato al Paese del dragone con 2600 voli l’anno, senza contare che più di 200mila lavoratori cinesi vivono in Africa.
COVID-19 La più grande compagnia telefonica keniota, la Safaricom, fino all’ultimo momento, invia ai suoi utenti (me compresa) un sms che recita “nel paese non è presente alcun caso di Coronavirus”. Probabilmente nel paese invece il virus è già presente, ma come è accaduto altrove, l’emergenza arriva in ritardo: per i test su grande scala mancano le risorse e, inoltre, le ripercussioni economiche associate alla presenza della malattia non sono trascurabili.
Quando appaiono i primi casi ufficiali, il governo vara una serie di misure contenitive sulla falsariga di quelle di Wuhan, sostenendo che il paese è all’avanguardia (anche se non è dato sapere in merito a cosa). Viene approntato un ospedale dedicato con 100 posti letto e 18 respiratori – la popolazione conta circa 50 milioni di abitanti – e vengono adottate quelle manovre che noi europei conosciamo bene, come la chiusura di scuole, attività, esercizi pubblici e quarantena per chi presenta i sintomi della malattia. Disposta anche la distanza fisica tra le persone, ponendo enfasi sui mezzi di trasporto pubblico. Le disposizioni vengono ignorate dalla popolazione. Come è ignorato il divieto di assembramento: il 20 marzo vengono arrestati due preti che conducono messa in chiese stipate; il 22 marzo un deputato di una Contea viene arrestato perché, pur essendo positivo al virus, si rifiuta di rispettare la quarantena; il 23 marzo la polizia disperde i clienti di vari club notturni in tutto il paese, e il presidente Kenyatta promette pene severe a chi non rispetta le direttive. Il 24 marzo i casi ufficiali positivi al COVID-19 sono 25. Chi entra nel paese a partire dal 25 marzo – cargo a parte, tutti i voli internazionali sono bloccati – è tenuto a sottoporsi a una quarantena di quattordici giorni, previo arresto immediato, presso una struttura designata dal governo e a proprie spese (agli europei entrati sotto data viene imposta una diaria giornaliera tra i 90 ai 125 euro al giorno ovvero l’equivalente dello stipendio mensile di molti kenioti, da corrispondere alla struttura ospitante, che i più, me compresa, scommettono appartenere a un parente di qualche politico). Il 26 marzo i casi positivi sono 34 e il virus fa la sua prima vittima, un 66enne keniota con patologie pregresse. A partire dal 27 marzo, viene deciso un coprifuoco dalle 19 alle 5 del mattino – motivato ufficialmente dal fatto che i kenioti socializzano la sera. Non tutto procede come dovrebbe, però: i luoghi di culto, i mercati, le stazioni dei mezzi pubblici sono costantemente gremiti di gente. In varie località del paese, la polizia spara lacrimogeni per disperdere le folle e la risposta non si fa attendere: la gente risponde lanciando pietre, e gli scontri divengono inevitabili.
Anche il coprifuoco non viene osservato e la polizia prende a pestare chi si ritrova allo scoperto. La notte del 27 marzo sarà ricordata come “la notte del terrore”, tant’è che qualche giorno dopo l’Alta Corte vieterà alle forze dell’ordine di usare eccessiva violenza nei confronti della popolazione. Data la situazione, le compagnie aeree europee comunicano ai loro utenti che stanno approntando gli ultimi voli di rimpatrio. E’ ora di partire. Per qualcuno è invece tempo di arrivare: 239 cittadini cinesi arrivano in Kenya a bordo della Chinese Southern Airline, e sbarcano allegramente dopo essere risultati negativi al test del COVID-19 (dove, quando e da chi è stato eseguito il test non è dato sapere). Il 28 marzo la polizia compie una serie di raid nei luoghi di culto, dove i fedeli sono stipati come d'abitudine. Il 29 marzo un ragazzo che svolge il servizio di moto taxi (servizio vietato dalle disposizioni governative) muore durante un inseguimento. A morire è anche un uomo pizzicato in strada durante il coprifuoco, percosso brutalmente delle forze dell’ordine. Ora i casi di COVID-19 nel paese sono 42, con un decesso dovuto al virus e due causati dalla violenza della polizia. Il 30 marzo i casi positivi sono a 50. Il milionario cinese Jack Ma, fondatore della compagnia di commercio online Alibaba, dona al Kenya respiratori, abiti e mascherine, per gli operatori sanitari. Il 31 marzo i positivi al virus sono 59. Il primo aprile 81. Secondo il Direttore dei Servizi Sanitari Nazionali del Kenya, entro la fine del mese i casi potrebbero arrivare a 10.000. Intanto un ragazzino di 13 anni muore all'ospedale di Nairobi dopo che la polizia gli ha sparato perché non rispettava il coprifuoco.
Mentre scrivo l’articolo, i paesi africani colpiti dal virus sono 47. Quanto al numero dei casi positivi ufficiali, ho ragione di credere che sia largamente sottostimato. Anche e soprattutto perché in Africa, quando la salute scricchiola, non tutti hanno i mezzi per potersi rivolgere a un medico, e senza soldi il medico ti rispedisce a "casetta tua". Comunque sia, malgrado l’estrema fragilità dei sistemi sanitari africani, il continente nero vanta una popolazione giovane, per cui le conseguenze della malattia si auspica potrebbero essere meno pesanti rispetto a quelle dei paesi europei, con popolazioni più anziane.
Il rispetto delle regole. La distanza fisica tra le persone, voluta dal governo come (giusta e necessaria) misura contenitiva, si scontra purtroppo con l’elemento “cultura” del popolo keniota e non tiene conto delle dimensioni della famiglia africana e di un’organizzazione sociale declinata alla vita comunitaria nel senso più stretto del termine. Il contatto fisico e la condivisione qui sono antichi pilastri che non si sgretolano da un giorno all’altro. Come pure la frequentazione di chiese e moschee. Inutile spiegare ai credenti che le preghiere non sconfiggeranno il virus ma incrementeranno invece i contagi perché svolte in luoghi affollati.
Ora resta da vedere come e se si riuscirà ad abbattere un muro fatto sì di cultura ma anche di ignoranza, auspicando che cessino violenze e soprusi da parte della polizia.
“Cosa ti devo dire, per me il lavoro viene prima della vita. La vita è solo mia, con il lavoro faccio mangiare tutta la famiglia. Si muore di tante cose e nessuno ti aiuta […]. Io capisco chi se ne frega del Corona, con tutti i problemi che abbiamo e per quanto se ne infischiano i politici di noi, pronti a blandirci e a riempirci di farina e di promesse solo quando sono in campagna elettorale, tanto che alla fine speriamo ci siano elezioni ogni anno […]. Non sarà il Coronavirus a uccidere mia nonna, ma il signore che la chiamerà a sé. Poi lo sai benissimo cosa succede qui, i giovani uccidono ogni giorno i vecchi con la scusa della stregoneria per impossessarsi dei loro terreni. Cosa cambia? I bambini muoiono di malaria senza assistenza e gli adulti muoiono di tante altre cose senza avere una diagnosi.” A parlare è Karema, un ragazzo keniota che, a dispetto del divieto governativo, continua a lavorare come moto-taxi (tratto da un’intervista pubblicata su un portale italiano).
Oggi è il 2 aprile. Lunga vita a tutti!
Immagini
Fotografie di viaggio di Lory Cocconcelli, Kenya 2020. La fotografia che ritrae la Polizia keniota è tratta da Africa.express.info
Sitografia
https://www.bbc.com/news/world-africa-51710617
https://www.nation.co.ke/counties/kwale/Kwale-man-accused-having-coronavirus-attacked--dies/3444918-5495558-c3a17n/index.html
https:/kenyans.co.ke
https://www.gov.uk/foreign-travel-advice/kenya/coronavirus
https://www.ilgiornale.it/news/cronache/africa-cina-voli-flussi-scambi-tutti-quei-numeri-che-1830194.html
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/africa-tutti-i-rischi-economici-del-coronavirus-25072
https://www.explodingafrica.com/2018/09/20/panoramica-sul-kenya-economia-tasse-servizi/
http://www.malindikenya.net/articoli/parole/storie/karema-il-boda-boda-incurante-dei-divieti.html
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