I segreti della bellezza femminile nell'antichità
Aggiornamento: 6 giu 2021
Possiamo considerare la bellezza, nella sua mutevolezza e nelle sue molteplici declinazioni, una debolezza irrinunciabile, la meraviglia delle meraviglie come la definì Oscar Wilde? E perché no! Seppur in modo diverso, tutti siamo sensibili al bello.
Ogni epoca – e ogni cultura – si è rispecchiata in un ideale di bellezza, mai univoco e quasi sempre ispirato alla figura femminile.
In realtà sarebbe corretto parlare di canoni estetici dall’epoca classica in avanti – prima di allora si cercava di rendere piacevole l’aspetto fisico senza perseguire un vero e proprio “ideale”. Occorre tenere a mente però che l’estetica antica esprimeva una riflessione sul bello il cui concetto non corrispondeva a quello attuale, poiché si rispecchiava non soltanto nella proporzione delle forme fisiche e nella piacevolezza dei tratti ma anche nelle qualità morali della persona. Come scrisse Platone, Ciò che è bello, è buono.
Un viaggio tra unguenti, infusi, profumi e cosmetici del mondo antico
Gli accessori che testimoniano l’utilizzo del trucco risalgono al 5000 a.C. Si tratta di spatoline per i belletti, piccole giare, fialette e tavolozze di pigmenti.
Antico Egitto Nel 3000 a.C. il trucco era appannaggio della casta sacerdotale. La cosmesi ricopriva significati diversi: rituali, magici, funerari e terapeutici. Accanto ai prodotti per il tempio, in seguito si diffuse l'uso dei cosmetici anche per la vita quotidiana.
Secondo le testimonianze degli archeologi, al tempo di Nefertiti, intorno al 1360 a.C., gli egizi si lavavano con una miscela di acqua e carbonato di calce ed esfoliavano il corpo con l’argilla proveniente dai fanghi del Nilo. Al bagno seguiva un massaggio con olio vegetale mischiato a erbe aromatiche. Uno dei primi segreti di bellezza femminile, se vogliamo definirlo tale, fu una maschera a base di uovo di struzzo sbattuto con latte, argilla, olio e farina.
Durante la fase del trucco – che almeno fino all'Antico Regno (2700 a.C.-2200 a.C. circa) non variò secondo il sesso, mentre più tardi si distinse nei colori per uomini e donne –, la pelle veniva spalmata con un fondo tinta di colore giallo ocra, gli zigomi messi in risalto con ocra rossa, gli occhi orlati dal khol nero (ovvero polvere di galena derivante da un minerale a base di solfuro di piombo), le palpebre dipinte con ombretti e le vene delle tempie sottolineate di azzurro. Le unghie venivano colorate con l’henné e i seni truccati con una cipria dorata. Una pesante parrucca, solitamente riservata ai dignitari e alle loro famiglie, ricopriva teste dai capelli considerati troppo fini.
Un oggetto da toletta molto diffuso era lo specchio – risulta che gli specchi, ovvero superfici di metallo perfettamente lisce, esistessero già dall'Antico Regno.
Le antiche egizie si depilavano utilizzando creme fatte di “ossa di uccello bollite e tritate, sterco di mosca, succo di sicomoro, gomma e cetriolo scaldati e applicati” (cit. Le cone d’onguent gage de survie in Buleetin de l’Instut français d’Archeologie Orientale di Nadine Cherpion, 1994). I profumi, dei quali fecero largo uso, inizialmente venivano confezionati con resine gommose alle quali si univano schegge di legno aromatico, in seguito invece con oli e sostanze fragranti (cinnamono, cassia e mirra) o floreali (gigli, maggiorana, fiori di henné) ai quali era aggiunto del vino. Uno dei prodotti più utilizzati era il cono di profumo posto sulla testa in modo che potesse diffondere la fragranza su capelli e vestiti.
Sebbene gli egizi non avessero canoni estetici definiti, attribuirono grande importanza alla cura e alla pulizia del corpo, intimamente collegata alla purezza dello spirito. E questo spiega la costruzione dei bagni nelle case (di nobili e funzionari e talvolta anche di lavoratori).
Numerosi reperti archeologici offrono testimonianza dell'antico uso dei cosmetici anche presso Sumeri, Ittiti, Assiri e Babilonesi.
Grecia Mentre nella Grecia pre-classica il concetto di bellezza era piuttosto vago, in quella classica (dal V sec. a.C.) assunse toni più delineati esprimendosi nelle misure, nell’armonia e nella simmetria di forme morbide associate a qualità di grazia ed equilibrio.
Nella Grecia antica, fino al III a.C. secolo, le donne utilizzavano unguenti per il corpo, si spazzolavano i denti ma non si truccavano, se non per indulgere nel disegno a tratto unico delle sopracciglia. In seguito, con l’importazione di belletti e profumi da parte di mercanti egiziani e asiatici, cedettero al fascino del trucco.
Il cosmetico più diffuso era la biacca (un pigmento costituito da carbonato di piombo) che dava alla pelle un colore bianco. Per colorare le guance si utilizzava il rosso del minio (ossido di piombo di colore arancione) oppure quello ottenuto dall’alcanna (un'alga marina), e su ciglia e sopracciglia veniva passato uno strato di polvere nera di antimonio.
La trasmissione delle ricette dei segreti bellezza avveniva di madre in figlia grazie all’opera di confezionatori che frequentavano gli ingressi dei ginecei, dove le donne dell’alta società realizzavano le loro creme.
Nella fase decadente ellenistico-romana, che iniziò con la morte di Alessandro Magno (323 a.C.) e terminò con l’inizio dell’impero di Augusto, anche le donne delle classi più modeste presero a truccarsi.
Come testimonia la classica acconciatura "a pieghe" anche i capelli venivano curati: colorati, in genere di biondo, e profumati con la lavanda.
Roma Dopo che conquistarono la Grecia (146 a.C.), i Romani assimilarono le usanze dei greci e di conseguenza anche i loro canoni estetici. La matrona dell’epoca repubblicana (a partire dal 509 a.C.) era rozza come la donna della Grecia arcaica, ma quella dell’Impero (a partire dal 29 a.C.) faceva uso di cosmetici, belletti e profumi. Lo stereotipo della bellezza femminile nell’antica Roma era incentrato su una figura dell’incarnato chiaro e dalle forme opulente, che pinguetudine e dieta pesante non faticavano a mantenere.
La toeletta della patrizia romana era paragonabile a un vero e proprio tour de force: si dedicava a lunghi bagni (non avendo ancora fatto comparsa il sapone, si utilizzavano detergenti come creta finissima o farina di fave), esfoliazioni della pelle, depilazione (con una pasta a base di olio, pece resina e sostanze caustiche), massaggi (in genere con olio d’oliva), trucco e acconciatura.
I capelli venivano infoltiti con dei riccioli posticci sovrapposti, i denti strofinati con polvere di corno, brufoletti e imperfezioni nascosti dietro finti nei. Durante la fase del trucco, il volto veniva schiarito con la nivea cerussa (una pericolosa pomata derivata dalla biacca), gli occhi scuriti dall’antimonio, e guance e labbra tinte con alcanna, succo di more di gelso oppure sandracca (il pericoloso solfuro di arsenico). Tutto il necessario cosmetico era preparato fresco da schiave specializzate.
Poppea è passata alla storia per i suoi bagni nel latte d’asina; l’effetto desiderato era quello di rassodare e ammorbidire la pelle. Meno nota invece la sua ricetta per la maschera di bellezza preparata impastando lo stesso latte a della mollica di pane.
Oltre a paste e infusi vari, ottenuti con gli ingredienti più strani (testicoli di toro, api affogate nel miele, uova di formiche pestate, grasso di pecora, burro, fave, …), un ruolo importante fu svolto dalle Terme, vero e proprio apogeo della cosmesi dell'antica Roma.
Con il progressivo affermarsi del Cristianesimo il trucco fu ritenuto peccaminoso e i gesti legati all’abbellimento considerati pratiche profane.
Oriente L'architettura delle terme romane ispirò il bagno turco, nato dall'incontro tra la cultura Occidentale e quella Orientale. Nel V secolo, tra Fes e Costantinopoli si contavano migliaia di bagni turchi e hammam. Nella luce soffusa di quei luoghi, la donna usava sapone nero per eliminare le impurità della pelle ed henné bianco per renderla più dorata, oltre a olio di argan e argilla per ammorbidirla. Le labbra erano scurite dall’akar rosso e gli occhi contornati con il Khol.
Il viaggio tra unguenti, cosmetici e profumi termina qui. Le donne vogliono essere belle, ha affermato il grande couturier Valentino. Vollero esserlo anche quelle dell’antichità, ignorando di utilizzare qualche volta sostanze molto pericolose.
[Articolo pubblicato da Mediterraneo e Dintorni - giugno 2021]
Bibiliografia
Dominique Paquet, Miroir, mon beau miroir. Une histoire de la beauté, Parigi, Ed. Gallimard, 1997.
Nathalie Chahine, Cathrine Jazdzewksi, Marie-Pierre Lannelongue, Franòcoise Mohrt, Fabiennne Rousso, Francine Vormese, La bellezza, immagine e stile, Modena, Ed. Logos, 2001.
Sitografia
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