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Geronimo e lo sterminio degli indiani del Nord America

Aggiornamento: 26 ott 2020

Ci fecero tante promesse, più di quante ne possa ricordare, ma non ne mantennero una; decisero di prendersi la nostra terra e l’hanno presa. (cit. anziano Sioux, 1890)

Indiani Apache, immagine tratta dal web


Quando Cristoforo Colombo toccò le coste del continente americano, pensando di aver raggiunto le Indie, denominò le popolazioni locali “indiani”.
L’espressione più corretta per designare i popoli indigeni delle Americhe che abitarono il continente prima della colonizzazione europea, secondo alcuni studiosi, sarebbe “nativi americani”. Tuttavia, entrambi gli appellativi vengono adottati ormai indifferentemente, anche dal mondo accademico.

Origini Le recenti scoperte di alcuni genetisti italiani hanno dimostrato che furono almeno quattro le migrazioni che portarono al primo popolamento delle Americhe. Gruppi distinti penetrarono nel continente americano dalla Beringia, dall’Alaska e dalla Siberia. E questo spiegherebbe le diversità linguistiche e culturali dei Nativi Americani (studio pubblicato in un articolo intitolato 'Reconciling Migration Models to the Americas with the Variation of North American Native Mitogenomes').

Il popolamento iniziale cominciò approssimativamente 15-18mila anni fa quando i primi uomini arrivarono in Nord America dall’Asia attraverso un corridoio di terra chiamato Beringia, che connetteva la Siberia orientale e l’Alaska; seguendo la costa del Pacifico, in poche migliaia di anni raggiunsero la parte meridionale del Sud America. Un secondo gruppo umano penetrò sempre dalla Beringia ma ebbe un’espansione geografica più limitata. Circa 5mila anni fa ci fu una terza espansione, in questo caso dall'Alaska, che contribuì alla formazione degli Eschimesi. Infine, vi furono flussi migratori più recenti provenienti dall'estremità orientale della Siberia.


La penetrazione dell’uomo bianco nell’America del Nord. Dalla colonizzazione europea dell’America al XIX secolo Prima dell’arrivo dell’uomo bianco, le popolazioni native americane - più di 600 società autonome parlanti oltre 500 lingue - sebbene fossero talvolta in conflitto, intrattenevano contatti le une con le altre attraverso una vasta rete di scambi commerciali. Abituati alle diversità culturali, i nativi accolsero inizialmente con favore gli europei, trattandoli come ospiti. I bianchi, al contrario, li considerarono sempre dei selvaggi.

Il Nord America fu invaso da quegli stati europei che avevano sviluppato tecniche di navigazione avanzate e che godevano dei mezzi necessari per finanziare le spedizioni. I primi tentativi di fondare colonie fallirono ma dal 1565 in poi, spagnoli, francesi, olandesi e inglesi presero piede nel continente. La Russia colonizzò l’Alaska durante il Settecento (ma vi rimase solo fino al 1867 quando la cedette agli Stati Uniti).

Gli europei imposero ai nativi i loro i sistemi commerciali, reintrodussero il cavallo (che nel Nord America si era estinto qualche migliaio di anni addietro) e iniziarono progressivamente, con l’utilizzo della forza e dell’intimidazione, ad avanzare pretese - manodopera, territori e conversione religiosa - nei confronti delle popolazioni indigene. In quel contesto, la convivenza pacifica dei primi tempi si sfaldò.

Nel XVII secolo ebbero inizio le guerre indiane, scaturite dapprima tra alcune tribù di nativi americani e i coloni europei, e in seguito con le autorità degli Stati Uniti d’America.

Come si conclusero lo sappiamo tutti: con l’assimilazione dei popoli indigeni e la deportazione di tutte le tribù nelle riserve - stanziate in territori che ai bianchi non interessavano, o perché il clima era troppo freddo o arido oppure perché privi di risorse.

Tra le tribù che scelsero il sentiero di guerra, i Sioux, i Cheyenne, gli Apache e i Comanche opposero la resistenza più tenace.

Il fatto che alcune tribù nemiche non si allearono per combattere gli invasori concesse a questi ultimi un grande vantaggio.


Nel corso di quattro secoli, la popolazione indigena del Nord America passò da 7-10 milioni a meno di 250.000 unità. La decimazione dei nativi non avvenne soltanto con le armi ma anche attraverso il contagio delle malattie occidentali, la perdita del loro ambiente e il mutare delle condizioni di vita.

(Occorre precisare che quando si parla di “genocidio dei nativi americani” si fa riferimento al calo demografico e allo sterminio sia degli indiani che degli indios e degli amerindi del centro-sud America, avvenuto in seguito all'arrivo dell’uomo bianco. In questo caso i numeri sono molto più consistenti e si esprimono nell’ordine di decine di milioni di individui.)


Trattati e delibere del Congresso americano Mentre i primi negoziati (stipulati tra nativi e coloni) furono in sostanza dei trattati di pace, con il rafforzamento del governo statunitense le posizioni contrattuali mutarono.

In cosa consistettero le condizioni dei trattati sottoscritti con gli Stati Uniti d’America? Per lo più in cessioni di terreni da parte dei nativi che come contropartita ricevettero altri terreni, denaro, cibo per un certo numero di anni, istruzione, assistenza sanitaria, il diritto di pesca, caccia e coltivazione all’interno dei territori ceduti.

Dal 1778 al 1871, tra le nazioni indiane e il governo statunitense furono firmati oltre 370 trattati (di cui il 60% esigeva la cessione delle terre natie), senza contare quelli stipulati con il Canada.

Terminate le guerre indiane, sconfitti militarmente e confinati nelle riserve, i nativi furono sottoposti a un programma di assimilazione culturale volto a mettere fine al loro stile di vita. A tale scopo, molti giovani vennero allontanati dalle famiglie con l’intento di far dimenticare loro la propria cultura. Le condizioni nelle riserve erano disastrose, la loro economia dipendeva dagli esigui canoni d’affitto dei terreni, da lavori stagionali e dalle sovvenzioni governative.

A seguire alcuni degli atti che delinearono quella che fu la politica degli Stati Uniti nei territori del Nord America.

Nel 1830 il Presidente Jackson convinse il Congresso ad approvare l’Atto di rimozione coatta dalle terre ancestrali di tutti quasi i popoli a est del Mississippi, convogliati in seguito nelle terre dell’Ovest.

Nel 1871 il Congresso a stelle e strisce mise fine alla stipula dei trattati, ma votò a favore del mantenimento di quelli già firmati.

Negli anni ‘20 il governo statunitense realizzò che la questione indiana era stata mal gestita: i nativi erano ridotti in miseria, ammalati e sfiancati, e non avevano abbandonato né la loro cultura né la loro religione.

Nel 1934 vennero restituiti ai nativi alcuni dei loro territori e venne creato un fondo di sviluppo economico ma con la seconda guerra mondiale il programma venne interrotto.

Tra il 1954 e il 1964 il Congresso tolse il sostegno federale a più di un centinaio di tribù. In risposta a questa politica di cessazione, negli anni ’60 nacque il Red Power, un movimento attivista che denunciava le terribili condizioni in cui versavano gli indiani, la parte della società statunitense meno istruita, più malnutrita e malata, e con meno autorità.

Oggi, i nativi - all’incirca tre milioni di unità, stanziati in diverse zone degli Stati Uniti - si trovano ad affrontare problemi economici, sanitari e scolastici ma una nuova generazione si sta adoperando per riportare in vita i governi tribali e per riappropriarsi di quella cultura che l’uomo bianco ha cercato di spazzare via.


Considerazioni Malgrado le politiche di assimilazione, la cultura animista-ecocentrica dei nativi sopravvisse a quella antropocentrica dei colonizzatori. Perché? Perché l’uomo bianco sottovalutò la forza del legame tra gli indiani e la loro terra e non comprese, né si sforzò di farlo, quanto fossero radicate in loro tradizioni e religione (si pensi ad esempio al vincolo sacrale tra uomini e animali, simbolicamente espresso attraverso i totem).


Quando avrete abbattuto l’ultimo albero, quando avrete pescato l’ultimo pesce, quando avrete inquinato l’ultimo fiume… allora vi accorgerete che il denaro non si può mangiare. (Proverbio indiano)


Onore alla memoria Per la maggior parte degli storici europei dell’epoca, gli indiani furono un ostacolo e una minaccia all'espansione pacifica dell'uomo bianco nonché provocatori di violenze di frontiera. In realtà, quell’espansione non fu né pacifica né tantomeno “onesta” se si considerano gli accadimenti (non ultimo gli assissinii dei capi indiani trucidati a tradimento nel contesto delle trattative di pace, come il grande Mangus-Colorado, Apache, al quale fu staccata nientepopodimeno che la testa).

Chi ha reso giustizia alla memoria dei nativi? Di certo non il cinema politically correct. E’ stato con la beat generation degli anni ’50 e il flower power degli anni ’60 che si è avuta una revisione della loro storia. Da non dimenticare, inoltre, il ruolo che hanno svolto i fumetti.

Dagli anni ’70 in poi, il cinema ha cavalcato l’onda revisionista attraverso la produzione di film “anti western” come “Soldato blu”, “Il piccolo grande uomo” e più tardi “Balla coi lupi”, … portando alla ribalta alcuni grandi valorosi capi indiani come Toro Seduto (Lakota), Geronimo (Apache), Cavallo Pazzo (Sioux)…



Geronimo, la leggenda Sul finire della sua vita, tra il 1904 e il 1906, Go-Khla-yeh ovvero Geronimo dettò la sua autobiografia al giovane sovraintendente dell’istruzione S.M. Barrett e la dedicò al Presidente degli Stati Uniti. Perché? Perché i Chiricahua (una delle sei sotto-tribù Apache) si stavano estinguendo e Geronimo sperava che Theodore Roosvelt gli avrebbe concesso di riportare i superstiti nelle loro terre d’origine, in Arizona.

Geronimo


Più che un capo tribù, Go-Khla-yeh fu un grande capo e sciamano di guerra, saggio, scaltro ma anche sanguinario.

Gli Apache furono una tribù particolarmente aggressiva, composta di straordinari guerrieri, marciatori in grado di correre per chilometri con la bocca piena d’acqua senza nemmeno inghiottire una goccia, nomadi abituati ad appropriarsi di tutto ciò che la natura metteva a loro disposizione, sempre però a seconda delle necessità, senza sprecare nulla. Necessità che avrebbero condiviso pacificamente con l’uomo bianco se questi non avesse voluto appropriarsi delle loro terre e della loro libertà.

Gli Apache si mostrarono i più crudeli e ostinati tra tutti i guerrieri. Il generale americano George Crook li definì "tigri della specie umana". Ma mentre essi furono coerenti con il loro modo di essere, i bianchi ostentarono ipocritamente onestà derubandoli e infrangendo sistematicamente i trattati di pace che siglarono.

Geronimo fu uno stratega di straordinaria intelligenza militare ma dovette scontrarsi con un nemico infinitamente superiore per mezzi e per numero, al quale alla fine non poté far altro che soccombere. Va detto, però, che ancor prima di scontrarsi con l’uomo bianco, Go-Khla-yeh combatté contro i messicani - o meglio ne sterminò quanti più poté - , i suoi primi acerrimi nemici, rei di avergli ucciso la madre, la moglie e i figli nel corso di incursione al suo villaggio.

I contatti tra gli americani e gli Apache cessarono di essere pacifici nel 1860 quando i bianchi non vollero riconoscere loro il diritto legittimo sulle terre e sull’acqua. Nel 1870 il governo statunitense istituì la prima riserva Apache, nella quale molti degli appartenenti alla tribù si trasferirono volontariamente poiché le alternative erano sterminio o morte per fame.

Dopo una lunga serie di battaglie e di evasioni dalle riserve, nel 1886 Geronimo si arrese definitivamente all’esercito americano. I superstiti vennero caricati su un treno e riuniti agli altri deportati. La tribù trascorse otto anni in Florida, poi venne trasferita in Alabama e infine in Oklaoma.


Per catturare Geronimo e i 24 Apache fuggiaschi, il generale statunitense Nelson Miles mise in campo ben 5.000 soldati e assoldò dei ricognitori Apache (scelti tra coloro che nutrivano vecchi rancori nei confronti di Go-Khla-yeh). Dopo un mese e mezzo di occultamenti, Geronimo accettò formalmente di arrendersi.

Queste le parole del Generale «Ti metterò sotto la protezione del Governo, ti farò costruire una casa, ti assegnerò un vasto territorio, bestiame, cavalli, muli e attrezzi agricoli, coperte e vestiti. Se accetterai tutto questo, potrai rivedere la tua famiglia tra cinque giorni.»

Geronimo riabbracciò la famiglia soltanto molto tempo dopo, nel 1887. Gli Apache non ricevettero mai ciò che Miles aveva promesso loro.

Gli ostinati Chiricahua furono puniti per aver difeso strenuamente la loro libertà e furono trattati - uomini, donne e bambini - come prigionieri di guerra. Allontanati e separati dalle loro terre, minati dal clima ostile e sfiancati, alla fine, scomparvero.

Che ne fu di Geronimo durante la prigionia? Il grande guerriero finì a coltivare angurie, si diede al whisky e finse di convertirsi al cristianesimo. Considerato alla stregua di una celebrità in cattività, ricevette numerose visite da parte di americani curiosi ai quali smerciò i suoi autografi. Morì di polmonite dopo aver trascorso la notte, ubriaco, sotto una pioggia gelida.

«Non avrei mai dovuto arrendermi. Avrei dovuto lottare anche se fossi rimasto l’ultimo uomo ancora in vita» confessò in punto di morte al nipote.


Cosa rivelò Go-Khla-yeh a Barrett? Che era nato in Arizona. Che ebbe otto mogli e otto figli. Che credeva nel destino e nella magia del numero quattro. Che Dio (Usen, nella sua lingua) aveva creato gli Apache. Che gli Apache quando venivano allontanati dalle loro terre deperivano e morivano.

Gli narrò delle origini della sua tribù, della credenza della sua gente in una vita successiva a quella terrena, delle forze soprannaturali che dominavano il mondo, onnipresenti e invisibili, connaturate in persone, animali e piante.

Gli raccontò che tutte le tribù Indiane osservavano un loro codice sociale. Gli Apache consideravano una virtù dire la verità, non si derubavano tra loro, non mancavano di onorare i debiti ed esigevano soddisfazione per i torti subiti. Anche se nessuna tribù possedeva un corpo di polizia o delle prigioni, la giustizia era ferocemente punitiva: se un Apache aveva trascurato i genitori anziani, profanato la religione, dimostrato di essere codardo, sleale o pigro veniva cacciato dal gruppo. Nessun obbligo era riconosciuto verso chi non fosse membro della tribù, di conseguenza uccidere estranei o derubarli non era considerato un crimine; le incursioni cruente a danno di altri gruppi tribali per compiere razzie di cibo e cavalli (mai per conquistare terreni) non furono infrequenti.


Dai racconti di Geronimo si evince che le società indiane, per quanto differenti, furono società autonome, organizzate, che poggiavano sui loro equilibri e che vivevano in armonia con la natura. Anche l’evento guerra era parte di quell’equilibrio.

Go-Khla-yeh raccontò a Barrett che nel momento in cui veniva dato il “comando di guerra”, tutto assumeva un carattere religioso, perfino il modo di preparare il cibo e di accamparsi; in questo contesto il guerriero non veniva chiamato con il suo nome bensì con un nome sacro preceduto da “valoroso” o “capo”. Gli anziani, per via della perdita del vigore fisico, non potevano guidare una battaglia ma i loro consigli venivano sempre ascoltati. Ogni guerra era preceduta da una danza e ogni danza era considerata una cerimonia religiosa (c’era quella del ringraziamento, quella sociale, quella dello scalpo e così via.; a seconda del tipo, vi prendevano parte gruppi designati oppure l’intera tribù).

Nel suo lungo racconto, Geronimo fece menzione di tutti gli aspetti del quotidiano della tribù nella quale, ogni uomo, donna e bambino, aveva un compito da assolvere per contribuire al benessere comune.

Danze, religione, medicamenti, abbigliamento, alimentazione, riti funebri… testimonianze preziose di un mondo scomparso, quello degli Apache.






Bibliografia


Barrett S.M., Geronimo’s story of his life, 1906 (a cura di Emanuela Turchetti, Io sono Geronimo, Roma-Napoli, Edizioni Theoria, 1994)


Bedetti Simone, I segreti degli indiani d’America, Milano, De Vecchi editore, 2002


Hirschfelder Arlene, Gli indiani d’America, Milano, Mondadori, 2001



Sitografia


http://www.history.com/topics/native-american-history/geronimo


http://www.lapresse.it/mondo/nord-america/studio-genetisti-italiani-quattro-migrazioni-popolarono-l-america-1.382727



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