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Infibulazione, la più cruenta delle mutilazioni genitali femminili

Aggiornamento: 26 ott 2020


Immagine tratta dal web

L’infibulazione è un tentativo di conferire alle donne uno status di inferiorità, marchiandole con un segno che le svaluta ed è un continuo ricordar loro che sono solo donne, inferiori agli uomini, che non hanno alcun diritto sui propri corpi o ad una realizzazione fisica o della persona. (Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso, 1984 -1987)


Le mutilazioni genitali femminili si classificano in quattro tipologie: l’asportazione parziale della clitoride, l’escissione della stessa, l’infibulazione e interventi vari di modifica sui genitali.

L'infibulazione è la forma più cruenta che consiste nell'asportazione della clitoride, delle piccole labbra, parte delle grandi labbra vaginali, e nella cucitura della vulva - nella quale viene lasciato piccolo foro per permettere la fuoriuscita dell'urina e del sangue mestruale.

L’infibulazione è una pratica di natura esclusivamente culturale. Ancora oggi è diffusa in almeno 27 paesi africani e in alcuni della fascia araba e del sud-est asiatico.


Origini Sulla base delle conoscenze attuali non è possibile risalire esattamente all’origine della pratica infibulatoria. Le teorie sono varie ma nessuna è in grado di circoscrivere il fenomeno, se non con approssimazione: si fa comunque riferimento a un periodo che va indietro di all’incirca quattro mila anni, o più. Questo trova ragione nel fatto che l’infibulazione si inserisce in un ampio contesto di mutilazioni sessuali, le quali devono la loro nascita (e il loro mantenimento) a motivazioni differenti che differiscono da etnia a etnia.

Le sue origini sembrano risalire all’antico Egitto (da qui il nome di infibulazione faraonica, la più aberrante). Ancora oggi in questo paese, nonostante la pratica sia vietata, le donne che l’hanno subita rappresentano circa il 95% della popolazione islamica femminile.


Purtroppo ci troviamo dinnanzi a una pratica sanguinosa che non riguarda soltanto l’Africa, come normalmente si crede. In occidente si conoscevano gli strumenti per praticare le mutilazioni sessuali femminili già qualche secolo prima di Cristo. Soranus, un medico greco, considerato il padre della ginecologia, raccomandava l’escissione della clitoride quando, se pronunciata, causava una “disdicevole deformità”. Con la fine del Medioevo, fino al XIX secolo, in Europa si apriva un ampio dibattito sulla necessità dell’escissione. Nel 1621, il chirurgo francese Jaques Guillemeau definiva la clitoride e le piccole labbra delle escrescenze “disoneste” e non belle. Tra il 1860 e il 1870 nell’Inghilterra vittoriana, la mutilazione genitale femminile si diffuse creando una vera e propria angoscia sessuale.


Motivazione La motivazione, da un certo punto di vista, è banale: in un sistema come quello africano in cui le tradizioni dettano legge, l’infibulazione è da farsi perché si è sempre fatta. La donna mutilata è una donna pura e la mutilazione è la prova di quello che sarà il suo ruolo.

In realtà, le cose sono un po’ più complesse. Se consideriamo che il fenomeno varia da regione a regione anche all'interno del medesimo Stato e che a fare la differenza è l'appartenenza etnica, le motivazioni che sostengono l’istituto infibulatorio sono diverse; inoltre, nel tempo si sono arricchite di ulteriori significati.

Per molte culture africane l’infibulazione è espressione di un rito iniziatico ovvero il passaggio della ragazza all’età adulta. Per altre è sinonimo di pulizia e purezza. Per talune rappresenta un mezzo per preservare la verginità delle giovani donne. Occorre osservare però che nei paesi d’origine, la cerimonia di iniziazione sta gradualmente scomparendo e l’età in cui la mutilazione viene eseguita si sta notevolmente abbassando. Perché? Perché al di là della ritualità e della tradizione, le mutilazioni genitali femminili rappresentano la volontà di controllare la sessualità femminile da parte di una egemonia culturale, tradizionale, religiosa ed economica tutta al maschile. Si obbliga la donna a una castità costrittiva che si esplicita nella chiusura della vulva (riaperta dal marito solo dopo il matrimonio) e le si nega il godimento della propria sessualità attraverso l’escissione della clitoride.

Un uomo nato in un paese dove la mutilazione sessuale è pratica comune, non sarà mai disposto a sposare una donna che non sia infibulata, escissa o perlomeno circoncisa.


Motivazione religiosa? L'infibulazione è legata a culture tribali precedenti la cristianizzazione e l’Islam. Paradossalmente, malgrado il Corano la vieti, questa pratica si riscontra per lo più nei paesi di fede musulmana. La circoncisione femminile sancita dalla Shari’ah riguarda l’asportazione parziale (e non totale) della clitoride. Ndr: la giurisprudenza coranica ammette, fra le cause di divorzio, difetti fisici della sposa, come ad esempio una circoncisione mal riuscita.


Affermazione di africanità? In un passato recente, in Africa l’infibulazione era diventata un fenomeno circoscritto alle campagne, bandita nelle città grazie alla diffusione del cristianesimo, poi con l’avvento delle indipendenze degli anni ’50 fu rilanciata come affermazione ed espressione di africanità dai leader anticoloniali – cit. Alice Walker in “Possedere il segreto della gioia”.

Il "padre" del Kenya moderno, Jomo Kenyatta, per fare un esempio, fu tra coloro che la vollero reintrodurre fortemente.


Varietà geografica Tra il 90 e il 100% delle donne sono infibulate in: Egitto, Sudan settentrionale, Sierra Leone, Eritrea, Djibouti e Somalia. In Burkina Faso, Etiopia, Gambia, Mauritania, la diffusione è maggioritaria ma non universale. In altri paesi, Ciad, Costa d'Avorio, Guinea Bissau, Kenya e Liberia, la percentuale tende ad abbassarsi.

L’UNICEF riporta che secondo i dati dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), sono tra 100 e 140 milioni le bambine, ragazze e donne nel mondo che hanno subito una qualche forma di mutilazione genitale. L'Africa è di gran lunga il continente in cui il fenomeno è più diffuso (monitorato in 27 paesi), con 91,5 milioni di ragazze di età superiore a 9 anni vittime di questa pratica, e circa 3 milioni di altre che ogni anno si aggiungono al totale.

La pratica delle mutilazioni genitali femminili è documentata anche nello Yemen, mentre per India, Indonesia, Iraq, Malesia, Emirati Arabi Uniti e Israele mancano indagini statistiche attendibili pur avendo la certezza che vi siano dei casi. Meno documentata in America Latina (Colombia, Perù) e in altri paesi dell'Asia e dell'Africa (Oman, Sri Lanka, Rep. Dem. del Congo) dove non ha mai costituito una tradizione vera e propria.

Per quanto riguarda i paesi occidentali, è indubbio che le mutilazioni genitali femminili si perpetrino nelle comunità dei migranti. Il Regno Unito vanta il triste primato europeo dell’infibulazione a causa della forte presenza di donne egiziane e sub sahariane, sebbene sia considerata illegale (come del resto anche in Italia; le statistiche rivelano che nel nostro paese ci sono all’incirca 40.000 donne infibulate).

Che i governi di taluni paesi africani ed europei abbiano vietato le mutilazioni genitali femminili non ha costituito un deterrente, almeno fino ad ora.


Conseguenze derivanti dall’infibulazione I rapporti sessuali vengono impossibilitati fino alla defibulazione (la scucitura della vulva), che in alcune culture viene effettuata direttamente dallo sposo prima di consumare il matrimonio. Puerpere, vedove e divorziate non possono certo tirare un sospiro di sollievo perché vengono sottoposte a reinfibulazione al fine di ripristinare la situazione prematrimoniale di purezza.

Dopo un’infibulazione, i rapporti sessuali sono dolorosi e spesso insorgono patologie come cistiti e infezioni vaginali.

Per facilitare la cicatrizzazione, subito dopo l’asportazione, le gambe della ragazza vengono legate insieme. Ma una volta slegate non ci sarà più il tessuto necessario affinché possano essere divaricate agevolmente. Il tessuto, inoltre, è ridotto ulteriormente dall’insorgere delle infezioni durante la legatura a causa della quale feci e urina ristagnano sulle ferite.

Se durante l’intervento (effettuato nella maggior parte dei casi senza anestesia) la ragazza si è divincolata e non è stata trattenuta con forza sufficiente, è possibile che siano state danneggiate parti adiacenti la vulva, ovvero uretra, perineo e retto.

Al momento del parto, poiché il bambino deve attraversare una massa di tessuto cicatriziale divenuto poco elastico, rischia che non gli arrivi sufficiente ossigeno al cervello; infine, in questo frangente, può verificarsi la rottura dell'utero, con la conseguenza della morte della madre e del bambino.

Le ripercussioni, però, non soltanto fisiche. Secondo il medico chirurgo Silvana De Mari «Quando il dolore fisico è prolungato, per esempio nel caso di un’ustione, di una clitoridectomia o di una infibulazione può succedere che la via di questo dolore – la via spino-talamo-corticale, resti stimolata talmente a lungo che il suo secondo neurone non riesce più a tornare silente. Il dolore si autonomizza. Le bambine torturate (come quelle infibulate) possono perdere la capacità, tipicamente femminile e materna, dell’empatia e possono diventare con facilità le torturatrici delle figlie (la perdita dell’empatia è dovuta a sua volta alla perdita di particolari cellule nervose chiamate neuroni a specchio)».


In altre parole, una ragazza mutilata sarà una donna (e una moglie) terrorizzata e sottomessa, la gioia di ogni uomo debole, insicuro e ignorante!


Conclusione Come donna occidentale, inorridisco dinnanzi alle mutilazioni genitali femminili. Al di là del fatto che costituiscano un fenomeno culturale, mi domando come molte donne che le hanno dolorosamente subite - perdita di empatia a parte, che non avrà riguardato tutte loro - possano trovare il coraggio di tramandare dolore, umiliazione e violenza alle loro figlie e nipoti.

Anche senza voler considerare l’aspetto penale – si tratta pur sempre di lesioni inflitte nella maggior parte dei casi a una minore – è sorprendente che una donna possa vocarsi a una simile pena. E lo è ancora di più leggere che «le antropologhe islamicamente corrette cinguettano che queste pratiche non lasciano conseguenze sul fisico e sulla psiche della bambina» (cit. Dott.ssa De Mari).

Credo che la legge in sé non possa fare molto se manca la volontà di cambiare lo stato delle cose. E un cambiamento può attuarsi con campagne di sensibilizzazione, vere e proprie battaglie culturali intraprese non con l’intento di sovvertire le tradizioni ma con quello di salvaguardare la salute psico-fisica delle donne. Non si possono reprimere credenze radicate se non attraverso una lucida presa di coscienza. Dopotutto anche Sankara - che si era professato “contro” - era africano!






Bibliografia


Barbieri Luca, Amore negato, Torino, Ananke



Sitografia


http://www.silvanademari.com/mgf.htm


http://www.unicef.it/doc/375/mutilazioni-genitali-femminili-ancora-lafrica-la-patria-del-fenomeno.htm


http://www.diritto.it/articoli/antropologia/alessandrini.html

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