The playboy story
Se mai avesse bisogno di presentazioni, Playboy è il magazine erotico più famoso al mondo, fondato dall’americano Hugh Hefner nel 1953.
Una rivista di svago maschile che non si è limitata soltanto al nudo, ma ha dato spazio a varie forme di intrattenimento, quali musica (in particolare il jazz), design, moda, fumetti, costume, sport e politica. Per mezzo delle sue interviste ha dato voce a personaggi del calibro di Haruki Murakami, Gabriel Garcia Marquez, Oriana Fallaci, Malcolm X, Martin Luther King, Bob Dylan, i Beatles, Jean-Paul Sartre, Yasser Arafat, Jimmy Carter, Fidel Castro, Steve Jobs, Groucho Marx, Joan Baez, Jack Nicholson, John Belushi, Marlon Brando, Whoopi Goldberg, Tom Hanks, Spike Lee, Stephen Hawking, Frank Zappa, Alberto Moravia e molti altri.
Nel corso del tempo, in particolar modo alla sua nascita, Playboy ha incontrato vivaci apprezzamenti e feroci critiche.
Hugh Hefner ha venduto la voglia di consumare sesso che ribolliva nel calderone del perbenismo americano. Ha liberato la sessualità maschile dai tabù puritani degli anni ’50, anche se non si può dire abbia fatto altrettanto, almeno non direttamente, per l’emancipazione femminile – ragion per cui si è guadagnato spietate critiche da parte dei movimenti femministi. È stato un personaggio controverso che, pur oggettivando la donna, ha sostenuto le lotte per i diritti civili, ha appoggiato la battaglia in favore della contraccezione, dell’aborto, della depenalizzazione dell’uso della marijuana, e non si è curato di perdere alcuni sponsor invitando ai suoi show televisivi ospiti di colore.
La sua rivista è cambiata nel corso del tempo, adeguandosi nello stile e nei contenuti, pur battendo sempre sul tasto del softcore. Il covid, complice una posizione di mercato in forte discesa, a marzo scorso l’ha fatta scomparire dalle edicole dopo 66 anni, anche se rimane nella versione digitale.
Hugh Hefner cresce in ambienti puritani. Dopo l’università, abile nel disegno, pubblica un libro di vignette satiriche, lavora come copywriter pubblicitario e in seguito si occupa di promozione editoriale. Coltiva il sogno di una rivista tutta sua, raccoglie un piccolo capitale iniziale e trova un distributore disposto a diffonderla. Il primo numero di Playboy nasce nel suo soggiorno, nel 1953, con il famoso paginone centrale che ritrae Marilyn Monroe senza veli. Sulla copertina non c’è scritto “numero uno”, perché non è sicuro che il mese successivo sarà in grado di vendere il numero due. Invece la prima edizione spopola: nelle mani dei lettori finiscono più di 50mila copie, in quelle di Hugh parecchi dollari. In un periodo in cui l’industria dei beni di consumo inonda gli americani di televisori, lavatrici e lavastoviglie, anche il “prodotto” di Hefner riscuote successo, crescendo a livello fenomenale e dando impulso all’impero Playboy Entreprise, quotato alla borsa di New York. Il logo del coniglietto col farfallino diventerà uno dei marchi più noti al mondo. Le ragazze che compaiono nei paginoni centrali prendono il nome di playmate (in italiano “conigliette”).
Nel 1959 Hefner costruisce la prima playboy mansion, il suo quartiere generale. Negli anni ’60 apre il primo di una serie di Playboy Club. Gli anni ’70 sono un periodo d’oro per il magazine, solo nel novembre del 1972 vende più di sette milioni di copie. Prendono il via alberghi, villaggi turistici e casinò. Tutti con il marchio del coniglietto. Nel 1975 Hefner installa la sua sede a Los Angeles e inaugura la playboy mansion numero due – la sua residenza, che ospiterà conigliette e celebrità del cinema, dello sport e della musica. Negli anni ’80 sostiene e ricostruisce l’immagine di una Hollywood in declino e si guadagna una stella sulla Hollywood Walk of Fame; in questo periodo la posizione di mercato di Playboy sarà intaccata dall’uscita di varie riviste pornografiche e dai prodotti per l’home video. Nel 1985 Hefner viene colpito da un ictus. Nel 1988 la direzione delle imprese del gruppo viene assunta dalla figlia. Dopo tre matrimoni, due divorzi, quattro figli, un harem di conigliette e un successo planetario, H.H. muore nel 2017 all’età di 91 anni. Il suo corpo riposa a Los Angeles accanto a quello di Marilyn Monroe, la prima star del cinema che è riuscito a spogliare.
Playboy story La rivista esce negli anni ’50, è pensata inizialmente con il nome di Stag Party per poi diventare Playboy. L’erotismo non è l’unico tema offerto (anche se è quello per il quale il magazine avrà successo), sono presenti vignette, articoli che contemplano moda maschile, automobili, impianti stereofonici, cibo, cocktail – ovvero tutto ciò che per Hefner rappresenta la “bella vita”. L’attrazione principale è il paginone centrale con la Playmate del mese, Marilyn Monroe. Tra le celebrity ritratte in altri numeri: Jayne Mansfield, Brigitte Bardot, Gina Lollobrigida, Sofia Loren e Anita Ekberg.
Negli anni ’60 sul magazine debuttano le interviste. A dire la loro, tra i personaggi più noti ci sono Malcolm X e Martin Luther King. Tra le celebrità fotografate Joan Collins, Catherine Deneuve, Kim Novak e Ursula Andress.
Negli anni ’70, segnati dalla guerra in Vietnam, Playboy inaugura il Playboy Forum, nel quale vengono pubblicate testimonianze pro e contro la guerra. Le lettere alla rivista sono numerosissime. In questo periodo le vendite aumentano vertiginosamente. Mentre in Italia arriva sugli schermi Giovannona Coscialunga, in America si stima che uno studente universitario su quattro sia abbonato al magazine di Hefner. Tra le interviste di rilievo, quella di Jimmy Carter – candidato alla presidenza degli Stati Uniti. Sulle pagine di Playboy, tra le altre, le fotografie di Raquel Welch, Veruska, di nuovo Brigitte Bardot, Victoria Principal e Donyale Luna, la prima top model di colore.
Gli anni ’80, con l’elezione di Ronald Reagan, vedono un periodo di ritorno alla morale, durante il quale il governo degli Stati Uniti, mentre allenta i programmi contro le discriminazioni razziali e sessuali, dichiara guerra alla pornografia; Playboy non ha vita facile, pur navigando nel mondo del softcore e non avendo nulla a che fare con il porno esplicito. Il magazine propone vari editoriali che illustrano che cos’è e come si contrae l’AIDS e offre ai suoi lettori interviste a Fidel Castro, Yasir Arafat e John Lennon. Senza veli, tra le celebrità, Kim Basinger, Sonia Braga e la top model Iman.
Negli anni ’90, tra i personaggi intervistati Martin Scorsese, Frank Zappa e Stephen Hawking. Sulle pagine del magazine, tra le donne famose che riesce a spogliare, Cindy Crawford, Elle Macpherson, Naomi Campbell e Anne Nicole Smith.
Dall’anno 2000 in poi, Playboy offre interviste a Nicole Kidman, Johnny Depp, Quentin Tarantino, John Malkovich, e pubblica fotografie di Kate Moss, Mariah Carey, Daryl Hannah, di nuovo Iman, Pamela Anderson, … Nel 2015 la rivista annuncia che non mostrerà più foto di nudo per poi fare un’inversione di rotta nel 2017, anno in cui Hefner scompare.
Alle edizioni americane di cui sopra hanno fatto eco quelle pubblicate in altri paesi, ognuna delle quali con una propria playmate. Tra le signore italiane in copertina Patti Pravo, Loredana Bertè, Iva Zanicchi, Ornella Muti, Barbara D’Urso, Isabella Ferrari, Violante Placido, la top model Bianca Balti, Claudia Gerini, Stefania Rocca e la tuffatrice olimpica Tania Cagnotto.
Hefner è stato criticato per aver gettato il seme del permissivismo nell’America puritana. In realtà non ha inventato nulla che non fosse già nell’aria. Ha liberato semmai l’immagine del sesso dall’ottica del mistero e del peccato, con un’allusività sessuale di gran lunga inferiore a certi stacchetti che vediamo oggi in tv o alle immagini di alcune sedicenti influencer presenti sui social. Se è vero che ha dato della donna un’immagine di eccessiva disponibilità, è anche vero che grazie al suo magazine centinaia di personaggi quali scrittori, scrittrici, attori, attrici, fotografi, modelle, fumettisti e altri ancora hanno creato o rafforzato il loro successo.
Dopo aver posato per Playboy nel 1988, Cindy Crawford ha dichiarato di aver ricevuto varie lettere poco gentili da parte di alcune femministe, e di aver risposto che una donna è veramente libera quando può decidere cosa fare della sua vita.
Ogni momento storico vive i propri conformismi ideologici, alcuni dei quali necessari, altri discutibili. Ieri Giovannona Coscialunga era trash e oggi è cult, mentre Grease, che era cult, oggi è misogino e sessista, allo stesso modo di James Bond – tanto caro, negli anni ’60, a John F. Kennedy. Nel 2021 l’Odissea di Omero è razzista e una scuola americana la bandisce dal programma di studio, le carte da gioco non sono più in linea coi tempi perché il re ha maggior valore della regina, e Dumbo e gli Aristogatti sono accusati di promuovere razzismo e disuguaglianza sociale. Nel frattempo Gwineth Paltrow vende online candele al profumo di vagina che vanno a ruba. Al “cero vaginoso” politically correct della Paltrow e alla cultura di annullamento che impera oggi era di gran lunga preferibile l’intervista a Joan Baetz su Playboy, tra nudi e vignette.
Alla gran maggioranza di noi si richiede un’ipocrisia costante, eretta a sistema. Boris Pasternak
Bibliografia
Mitchell Beazley, The playboy book, Reed Consumer Books Limited, Great Britain, 1994
Sitografia
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